#2022.11 Novembre

Il riassuntone che porta grandi novità.

#2022.11 Novembre

Di novembre si può dire di tutto tranne che sia portatore di novità. Dalle mie parti c’è chi lo chiama “il mese dei morti”, tanto per non alimentare aspettative. Di sorprese positive in questo periodo non ce ne saranno neanche per sbaglio. Solo certezze. Come le tasse che devo mettere in pagamento appena chiudo il post.

Ecco appunto, novembre. Che gioia.

Oggi ho visto uno degli alberi di Natale più tristi di tutta la mia vita. Non ha nemmeno la forma di una pianta. È…un cono. Ed è enorme! If it doesn’t work make it big, dicono. Spero solo che non lo dipingano anche di rosso nei prossimi giorni1 ;p

Non ho nulla contro le decorazioni, non vivo in un cubo di cemento grigio topo. Ma alcune…anche meno, secondo me.

Ma torniamo a noi. Dicevamo che novembre non porta mai sorprese? Sbagliato! Good news everyone!

Ci sono un paio di belle novità per Making Pictures. Tecnicamente saranno attive da gennaio 2023, novembre può mantenere il primato di mese tristone, ma volevo cominciare ad annunciarvele.

#1 Making Pictures is on its way!

A gennaio 2023 partirà la versione in inglese di Making Pictures. In principio sarà una traduzione-adattamento di quello che ho già scritto, per cui a voi non dovrebbe cambiare nulla. La newsletter in italiano continuerà trattando altri argomenti, le due cose procederanno in parallelo, ognuna con la propria dimensione. Il multiverso di Making Pictures, in pratica.

Substack permette di gestire pubblicazioni figlie sotto lo stesso nome, dividendo articoli e iscritti. Ad un certo punto a gennaio compariranno due sezioni separate nella home page. Se siete abbonati continuerete a ricevere le e-mail in italiano, come al solito, ma non quelle in inglese. Ci sarà un’opzione per passare da una all’altra, o iscriversi ad entrambe (su, non esageriamo! ;p).

Continuerò a mantenere la stessa numerazione (#x.y Titolo) e ne inizierò una nuova per i post in inglese, un’ulteriore separazione, per sicurezza.

Riassumendo: anche se ho paura che esploda qualcosa, la trasformazione dovrebbe essere facile e indolore. Da gennaio Making Pictures in italiano e in inglese.

#2 Cambiamo il ritmo

Per tutto il 2022 abbiamo mantenuto lo stesso programma: un articolo un giovedì sì e uno no e il riassuntone finale con tutti i riferimenti. Per me iniziare a pubblicare in inglese è una gran cosa, come se mi trovassi alla base di una lunga salita quando vado a correre. Cambio ritmo, altrimenti scoppio prima della metà.

Ogni mese pubblicherò un articolo italiano e uno in inglese, senza i riassuntoni finali. Devo ancora decidere il giorno, a settimane alterne mi sembra una soluzione sensata.

Questa decisione ci porta poi direttamente al punto successivo.

#3 Si apre tutto a tutti

Per l’intero 2023 tutti gli articoli saranno pubblici, aperti a tutti. Dato il cambio di ritmo non aveva senso lasciare invariata la questione degli abbonamenti.

Quindi tutti potranno leggere tutto, gratis.

Ma come? E io che mi sono appena iscrittə? Io che ti ho supportata per un anno fin da subito? Dove finiscono i miei soldi?

Domande ottime e sacrosante. Sono mesi che rifletto su questa decisione. Per me è fondamentale che ci sia un ritorno di valore a fronte di una transazione di denaro, poco o tanto che sia, non importa. E con questo arriviamo alla conclusione.

#4 Riceverete quello per cui avete pagato (e anche qualcosa in più)

Lo scopo degli abbonamenti a pagamento di Making Pictures è quello di sostenere la pubblicazione stessa, di poter continuare ad alimentarla con risorse, testi e conversazioni interessanti. Ci metto dentro tutto quello che posso, ma ho anche una soglia sotto la quale non possono scendere perché questo spazio, anche solo per lo 0,5%, deve potersi reggere sulle proprie gambette. Non ho intenzione di riempirlo di contenuti clickbait. Il giorno in cui in questo posto comparirà qualche classifica di pseudo-fotografia-psicologia sarà anche il giorno in cui chiuderò tutto.

Detto questo, nuovo business plan! Nel 2023 rimarrà attiva solo l’opzione abbonamento annuale. Tutti gli abbonati riceveranno a casa una copia adattata, stampata e impaginata di tutti gli articoli pubblicati su Making Pictures nel 2022. E un seconda “cosa” a sorpresa (che potrete utilizzare, non resterà a fare polvere sul comodino)!

La mia idea iniziale era di fare delle zine. Finché non ho stampato tutto il 2022 finora.

Non sarà così, ma sarà comunque un po’ spesso. Sto lavorando tra impaginazione e prototipi. Ho un’idea che se esce come dico io…verrà fuori una cosa molto bella!

In conclusione:

  • se avete sottoscritto un abbonamento annuale nel corso del 2022 riceverete una copia stampata di Making Pictures + sorpresa.
  • se avete sottoscritto un abbonamento mensile (in totale inferiore alla tariffa annuale) nel corso del 2022 riceverete la sorpresa + la copia digitale di Making Pictures impaginata (tramite link, potrete scaricarla in autonomia).

Una nota: se attiverete un abbonamento nel corso del 2023 potrete decidere se ricevere la copia stampata di Making Pictures 2022 subito o attendere la fine dell’anno per avere l’edizione 2023 :)

Conoscete qualcunə interessatə? Con il bottone qui sotto potete condividere Making Pictures! Altrimenti passiamo al riassuntone di novembre!

Dimenticavo: grazie per il supporto!

Argomenti trattati

All’inizio di ogni fotografia c’è sempre una relazione, anche solo per un’istante microscopico, e ogni immagine è una trasformazione di un qualche tipo di questa relazione.

Gli stereotipi sono uno degli strumenti attraverso i quali conosciamo il mondo. Sono strutture cognitive, sistemi organizzati di conoscenze salvati nella memoria semantica di tuttз noi che si attivano di fronte ad uno stimolo. Cominciano a formarsi in maniera automatica nel momento in cui nasciamo, per via diretta o mediata. Gli stereotipi possono portare a pregiudizio e discriminazione ma, secondo alcuni psicologi, la mente umana ha una sorta di sistema di inibizione, chiamato monitor, che tiene a freno la formazione di pregiudizi. Una sorta di autocontrollo, diciamo, che porta a rivedere i propri stereotipi e pregiudizi.

La mente umana è stupenda ma ha anche dei limiti. Fotografare è un’attività estremamente complessa, coinvolge dal punto di vista fisico, emotivo e cognitivo. Maggiore pressione porta a un esaurimento più rapido di capacità e risorse. Porta a decisioni affrettate, a comportamenti stereotipati e all’utilizzo di un linguaggio visivo che è sempre e solo uguale a sé stesso e a quello che già esiste. Stereotipi negativi e pregiudizi non si aggiornano se non c’è il tempo per farlo.

L’ambiente e il contesto nel quale lavoriamo esercitano una pressione enorme sul nostro modo di fotografare. Ci influenzano anche quando siamo convinti di “averci fatto il callo”, ci portano verso direzioni che non vorremmo forse nemmeno seguire.

Rivendicare l’autonomia dello sguardo significa (anche) curare il nostro spazio di lavoro, fisico e mentale. O addirittura crearne un altro,  stabilendo ciò che è importante e cosa è trascurabile per noi, indipendentemente da quello che sta fuori, da ciò che è definito normale (da chi, da cosa, perché?).

#2.6 Il contro-spazio
Ci sono tanti argomenti in fotografia in cui è facile partire per la tangente. Le opinioni sfuggono di mano. Si finisce come quando si sbaglia l’uscita in tangenziale, nell’ora di punta: imbottigliatз chissà dove. Ma di sicuro non dove avremmo voluto andare.

Come fotografa trovo affascinante trovarmi così, nel mezzo, e poter guardare sia da una parte che dall’altra. La complessità della realtà e la semplificazione delle immagini. Anche quando le fotografie in questione non hanno nulla di semplice.

Gli stereotipi sono rappresentazioni unidimensionali che evidenziano solo alcune caratteristiche, ritenute significative, di un gruppo di individui. Gli stereotipi negativi sono pericolosi, perché possono portare pregiudizio e discriminazione. Ma sono anche più “facili” da riconoscere. Tra virgolette, perché a volte, per vederli, bisogna comunque fare uno sforzo, anche minimo.

Gli stereotipi positivi, invece, sono innocui? Be’, dipende: non sono meno nocivi solo perché appicciano delle etichette graziose addosso a qualcunə. In generale tutto quello che ostacola l’affermazione dell’individuo non è proprio una cosa carina. Il problema è la depersonalizzazione, l’essere riconosciutз e trattatз secondo le caratteristiche del gruppo e non come singoli individui.

Gabbie dorate nelle quali la persona si sente “costretta” a rispettare certe aspettative. A dare tutto per dimostrare qualcosa. È come piazzarla su di un piedistallo togliendole ogni scaletta per scendere. In questo modo si pone fine a qualsiasi forma di comunicazione o relazione, diventa un’esposizione. Magari anche non richiesta. O pericolosa.

#2.7 Mettere sul piedistallo
Ci sono tante ragioni per cui ho iniziato a fotografare, e perché continuo a farlo. A dirla tutta, credo che alla base ci sia una sensazione più che un motivo concreto. Con questo non voglio dire che passo le mie giornate a seguire istinto e ispirazione e come va, va. Anzi!

Appunti e citazioni

«To make a photograph the photographer must be in the presence of the subject. This is true even in the special case where the subject is an arrangement in the studio, or simply another photograph. In the more general case it is not only true but enormously consequent. To photograph on the top of the mountain one must climb it; to photograph the fighting one must get to the front; to photograph in the home one must be invited inside». Peter Galassi, Pleasures and Terrors of Domestic Comfort. MoMA, 1991.
«La natura, dal canto suo, è quella che è. E noi la scopriamo pian piano. Se la nostra grammatica e la nostra intuizione non si adattano a quello che scopriamo, poco male, cerchiamo di adattarle». Carlo Rovelli, L’ordine del tempo. Adelphi, 2017.
«Uno spazio, come direbbe Michel de Certeau, che “[…] è un  incrocio di entità mobili. È in qualche modo animato dall’insieme dei movimenti che si verificano al suo interno […]” ». Maurilio Ginex, Nell’universo di Michel Foucault: genesi delle strategie di controllo. I.ME.S.I., maggio 2020.
«[…] un luogo è l’ordine, qualunque esso sia, in base al quale degli elementi sono distribuiti in rapporti di coesistenza [...] Implica una indicazione di stabilità […] Lo spazio è un incrocio di entità mobili. È in qualche modo animato dall’insieme dei movimenti che vi si dispiegano […] A differenza del luogo, non ha né l’univocità né la stabilità di un “proprio”. Insomma, lo spazio è un luogo praticato». Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano. Edizioni Lavoro, 2009.
«[…] lo scrittore può soltanto imitare un gesto sempre anteriore, mai originale; il suo solo potere consiste nel mescolare le scritture, nel contrapporle l’una all’altra in modo da non appoggiarsi mai ad una in particolare; se anche volesse esprimersi, dovrebbe almeno sapere che la “cosa” interiore che pretende di “tradurre” non è a sua volta nient’altro che un dizionario preconfezionato, le cui parole possono essere spiegate solo attraverso altre parole, e così all’infinito». Roland Barthes, La morte dell’autore in Il brusio della lingua. Eiunaudi, 1988.
«Le utopie consolano; se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie  inquietano, senz’altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e  quello, perché spezzano e aggrovigliano i luoghi comuni, perché devastano anzi tempo la «sintassi» e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma quella meno manifesta che fa «tenere insieme»…le parole e le cose. È per questo che le utopie consentono le favole e i discorsi: si collocano nel rettifilo del linguaggio, nella dimensione fondamentale della fabula; le eterotopie (come quelle che troviamo tanto frequentemente in Borges) inaridiscono il discorso, bloccano le parole su sé stesse, contestano, fin dalla sua radice, ogni possibilità di grammatica, dipanano i miti e rendono sterile il lirismo delle frasi». Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane. BUR, 2016.
«Visual culture is not simply about images. It is also about practices we engage in relative to seeing, and it is about the ways that the world is visually organized in relationship to power.

Visuality includes not only social codes about what can be seen and who is able and permitted to look, but also the construction of built environments in relation to these looking practices. Consider the placement of windows and walls, built structures that organize our looking practices. Visuality is a term that calls our attention to how the visual is caught up in power relations that involve the structure of the visual field as well as the politics of the image.

[…]

According to Mirzoeff, countervisuality is about the struggle for “the right to look,” which is as much about a claim to autonomy as it is about a right to see, look, and challenge the power of visuality». Marita Sturken e Lisa Cartwright, Practices of Looking. An introduction to visual culture. Oxford University Press, 2018.
«True silence, it turns out, is an impossibility, as silence demands not only a lack of sound, but also an audience to witness it. We will never know silence, as our own bodies generate sound.

You cannot quiet yourself. Even if you try to, your memory, actions, and words will reverberate. And in this way, everything we write is a poetic testament to the impossibility of silence». Ian Lynam, The Impossibility of Silence: Writing for Designers, Artists & Photographers. Onomatopee, edizione 2020.
«In earlier scientific epochs, we have shown, practices of looking were central to discriminatory systems claiming to be objective knowledge systems. The identification of visible and measurable differences in skin tone and color and body shape and size has been used to justify stereotypes and discriminatory practices». Marita Sturken e Lisa Cartwright, Practices of Looking. An introduction to visual culture. Oxford University Press, 2018.
«Wendy S. Hesford and Wendy Kozol call this image “the First World’s Third World Mona Lisa,” noting its rendering of the woman as “an exoticized Other onto which the discourse of international human rights has been placed”2». Marita Sturken e Lisa Cartwright, Practices of Looking. An introduction to visual culture. Oxford University Press, 2018.
«- […] fotografo socialmente impegnato, allora si diceva concerned, ero stato uno sciocco che credeva di fare giustizia sociale fotografando le vittime della sociale ingiustizia.

P - Ha provato rimorsi?

- Rimorsi no, pentimenti si. E sapere di averlo fatto in buona fede ha peggiorato il pentimento, perché alla scoperta del danno altrui si aggiunge quella della propria stupidità. Capii fino da allora una cosa bella e terribile: che il merito, il vanto e la gloria della dea fotografia è che tutte le immagini, per mostrare una cosa, devono nasconderne un’altra». Ando Gilardi, Meglio ladro che fotografo. Mondadori, 2007.
«Così, rispetto al modo di guardare il ritratto fotografico, possiamo distinguere quattro tipi di identificazione:
  1. con la macchina fotografica, da spettatore;
  2. della persona rappresentata (riconoscimento);
  3. con la persona (o oggetto) rappresentata;
  4. con lo sguardo della persona della fotografia, rivolto verso di noi o verso altri personaggi presenti in essa.
[…] sono o non sono come questa persona?» David Bate, Il primo libro di fotografia. Torino, Einaudi Editore, 2011.
«Feeling depersonalized has been found to determine the extent of a person’s negative reaction to being the target of a positive stereotype. For example, women who were told that they had performed well on a math test reported higher levels of anger and a greater desire to attack or avoid the male test administrator if when he gave them their positive feedback, he said, “Wow...you did really well for a woman” versus if he simply said, “Wow...you did really well”». Positive Stereotype, Wikipedia.

Bibliografia

Roland Barthes, La morte dell’autore in Il brusio della lingua. Einaudi, 1988.

David Bate, Il primo libro di fotografia. Torino, Einaudi Editore, 2011.

Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano. Edizioni Lavoro, 2009.

Joe DeMaio, Robin Worth e Dennis Curtin, The New Darkroom Handbook. Focal Press, 1998.

Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane. BUR, 2016.

Ando Gilardi, Meglio ladro che fotografo. Mondadori, 2007.

Maurilio Ginex, Nell’universo di Michel Foucault: genesi delle strategie di controllo. I.ME.S.I., maggio 2020.

Wendy S. Hesford and Wendy Kozol, Just Advocacy? Women’s Human Rights, Transnational Feminisms, and the Politics of Representation. Cambridge University Press, 2006.

Sarah Lewis, The Racial Bias Built Into Photography. Lens, The New York Times, 2019.

Ian Lynam, The Impossibility of Silence: Writing for Designers, Artists & Photographers. Onomatopee, edizione 2020.

Edward M. Robinson, Crime Scene Photography. Second Edition. Elsevier, 2010.

Carlo Rovelli, L’ordine del tempo. Adelphi, 2017.

Marita Sturken e Lisa Cartwright, Practices of Looking. An introduction to visual culture. Oxford University Press, 2018.

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé. Feltrinelli, 2013.

Philip Zimbardo, Piero Bocchiaro, La minaccia indotta dallo stereotipo. Psicologia contemporanea, 2017.

Libri fotografici, serie e autori

Tina Barney, Theater of Manners, In the Garden, 1982.

Anna Blume e Bernhard Blume, Kitchen Frenzy, 1986.

Peter Galassi, Pleasures and Terrors of Domestic Comfort. MoMA, 1991.

Luigi Ghirri, Masone, Casa Benati, 1985. Il Profilo delle Nuvole.

Robert Lyons, Pictures From the Next Day.

Nic Nicosia, Real Pictures #11, 1988.

Jenny Riffle, The Sound of Wind.

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  1. If it doesn’t work make it big. If that doesn’t work, paint it red!