#2022.2 Febbraio

Il lungo riassunto del mese più breve.

#2022.2 Febbraio

E anche febbraio è bell’e finito. Per quel che mi riguarda, tantissimi eventi stipati in un mese così corto!

Prima di iniziare ho un bel saluto di benvenuto per tutte le persone che sono atterrate qui nell’ultimo mese. Vi lascio i link a due articoli: #1.1 Benvenuti e #2022.1 Gennaio. Il primo spiega un po’ come funziona questa newsletter-blog mentre nel secondo trovate la struttura dei riassuntoni mensili. Nel caso ve li siate persi e vi serva una bussola per muovervi qui dentro.

Grazie anche a tutti voi che leggete da gennaio. So di averlo già scritto da altre parti, apprezzo davvero molto il vostro supporto. Ho in programma di ringraziarvi per tutto l’anno, di questi tempi non do per scontata l’attenzione che mi viene dedicata.

La novità del mese è l’arrivo in casa di una Zeiss Ikon Contaflex degli anni ‘50 (dovrebbe, devo verificare il numero di serie). Si perde uno scatto ogni tanto, ma glielo perdono, vista l’età. Diretta conseguenza di questo fatto: ho ricominciato a fotografare un po’ di più in pellicola, ma anche in generale. Non so ancora dove mi porterà questa cosa, vedremo fra qualche mese. Nel frattempo solo al brico a prendere il laminato per allestire la camera oscura nel sottotetto.

Marzo sarà un mese speciale: secondo il programma un-giovedì-sì-e-uno-no, avremo tre uscite (quattro, contando il riassuntone di fine mese). Se avete in mente una persona alla quale potrebbero piacere gli argomenti trattati qui dentro, questo potrebbe essere un buon periodo per condividere!

Giovedì 3 marzo parleremo di composizione e di come sistemi di pensiero differenti portino a diverse letture della stessa immagine (in principio avevo pianificato questo articolo per febbraio, ma in fase di revisione ho preferito spostarlo, c’era già molto di cui scrivere). Il 17 di marzo faremo qualche passo indietro per osservare da lontano il flusso di informazione e l’esperienza della conoscenza mediata. Giovedì 31 marzo, infine, faremo di nuovo un balzo dentro la mente per vedere come tutta questa informazione viene elaborata.

In chiusura: mi auguro che a fine marzo il mondo stia andando un po’ meno a fuoco rispetto a questi giorni. Spero stiate bene, così come tutte le persone che vi sono care.

Ovunque voi siate, prendetevi cura di voi.

Argomenti trattati

Nel primo articolo di febbraio #1.3 Acceleratori emotivi abbiamo dedicato un po’ di spazio alla psicologia sociale, parlando dei meccanismi di priming e di attivazione degli schemi di conoscenza.

Con priming si intende l’influenza che uno stimolo (il prime, appunto) ha sul successivo (spesso chiamato target). Molte strategie di marketing includono il priming per influenzare i consumatori in favore dei loro prodotti, utilizzando stimoli come parole ma anche colori e profumi.

Gli effetti di questo meccanismo sul comportamento non sono, in realtà, così evidenti. Non è possibile stabilire un legame forte di causa ed effetto tra prime e target. Dobbiamo ricordarci che molti degli esperimenti psicologici prodotti in laboratorio sono semplificazioni estreme della vita di tutti i giorni, servono per studiare in maniera analitica alcuni elementi. Siamo molto più complessi di così, ecco.

Arancia Meccanica, Stanley Kubrick, 1971.
Arancia Meccanica, Stanley Kubrick, 1971. Gli anni ‘60-’70 del XX secolo hanno visto il boom degli esperimenti di psicologia sociale, soprattutto negli Stati Uniti. Alcuni, come l’esperimento della prigione di Stanford, suscitarono un enorme interesse da parte dei media dell’epoca, nonché dibattiti e controversie che continuano ancora oggi.

Torniamo alla definizione di priming come effetto di uno stimolo sull’altro, lasciando da parte gli esperimenti sul comportamento. Ragionando nell’ambito fotografico ogni immagine innesca un determinato stato verso un’altra, e così via.

Ogni volta che vediamo un’immagine, nel nostro cervello si attivano altre immagini, significati e stimoli in qualche modo collegati ad essa. Pattern in memoria che derivano dalle strutture neurali e dal nostro vissuto, da esperienza e aspettative, che cercano di anticipare o completare gli stimoli che verranno dopo, scartando quello che non c’entra nulla.

The Living Mountain di Awoiska van der Molen.
The Living Mountain di Awoiska van der Molen. Fonte: Awoiska van der Molen. Video su Vimeo da PhotoBookStore.uk.

Le immagini sono anche acceleratori emotivi, le fotografie sono in grado di innescare reazioni potenti. In tempi come i nostri, dove c’è molto da elaborare, la fotografia può diventare uno strumento di esplorazione e supporto. Ma è anche un acceleratore molto sensibile, che può portare fuori strada. Richiamare un’esperienza difficile può essere, in molti casi, un’operazione delicata e complessa. Riportarla alla luce non equivale a risolverla. Quando questo tipo di eventi ritorna in superficie continua a rimanere attivo e a riconfermarsi, riproporsi, anche in forme implicite e difficili da comprendere, se non con l’aiuto di un professionista.

Ne ho già parlato a lungo nell’articolo riservato agli abbonati, ma ci tengo a ripeterlo anche qui perché negli ultimi anni ho visto un incremento di progetti e percorsi fotografici legati all’esplorazione dell’intimo, della storia personale e del dolore. Ce ne sono sempre stati, ma la mia sensazione è che oggi, rispetto al passato, tutto sia affrontato in maniera più frenetica.

L’educazione emotiva nella cultura occidentale è minima, soprattutto quando si toccano emozioni negative. Alcuni approcci possono portare più disagio che sollievo. Non credo esista un “metodo” che possa andare bene per tutti. Esistono tanti tentativi per costruire la propria strada. Alcuni funzionano in certi momenti, altri falliscono.

Dal mio punto di vista il cuore di tutto il processo fotografico è l’essere umano. Il mio più grande obiettivo come fotografa è di costruire una pratica sana, che mi permetta di fotografare e lavorare bene il più a lungo possibile. Di mantenere il mio spirito sereno, il mio pensiero forte e il mio corpo in buone condizioni così come mi preoccupo che l’attrezzatura sia ordinata e perfettamente funzionante.

In #1.4 Il disagio abbiamo parlato di ritratto e di come fotografia e disagio vadano spesso a braccetto, soprattutto quando si ha a che fare con le persone (a meno che non siate Bruce Gilden, ma lui ha a che fare più con i personaggi nella sua testa che persone in carne ed ossa secondo me).

Bruce Gilde, NYC portratis.
Bruce Gilden, NYC.

Un ritratto è una forma di relazione e ogni relazione è un sistema di forze. Può essere equilibrato o sbilanciato, in questo ultimo caso qualcuno ha il potere e qualcuno si lascia guidare (o subisce).

Come nelle relazioni, anche nel ritratto può esserci un certo grado di manipolazione. La storia è piena di fotografi che usano trucchi o espedienti per ottenere l’immagine che hanno in mente. Anche un fotografo di matrimonio ha un arsenale di battute per far sorridere gli sposi. Da questa prospettiva il ritratto diventa un gioco di ruoli, una danza nella quale chi fotografa cerca di portare la persona, accompagnandola o forzandola, dove vuole andare.

Richard Avedon, The Duke and Duchess of Windsor, Waldorf Astoria, Suite 28A, New York. MoMA, 1957.
Richard Avedon, The Duke and Duchess of Windsor, Waldorf Astoria, Suite 28A, New York. MoMA, 1957.

Come fotografa io sono una pessima ballerina in questa danza. Questo limite è uno dei motivi per cui ho iniziato a leggere articoli e testi fino a dedicarmi allo studio della psicologia.

Quando fotografo sono terribilmente a disagio nelle situazioni che percepisco come finte, anche quando sono io stessa a crearle. Ho cercato di capire le persone studiando le tecniche per influenzarle. Non mi è bastato, così sono passata a studiare me stessa. Ho imparato molto ma sono anche finita con il forzarmi in un ruolo che non faceva parte di me. Smettendo di provare a manipolare gli altri ho iniziato a manipolare me stessa, e non è finita proprio bene (vi rimando all’articolo #1.4 Il disagio  -in abbonamento- per la versione lunga della storia).

Ho continuato a fotografare e a produrre immagini. Non tanto per diventare la fotografa ideale che avevo in testa e che vedevo confrontandomi con gli altri, quanto per sentire il mio corpo nelle diverse situazioni. Per fare pace con il mio modo di fotografare e di vivere la relazione con il soggetto. I ritratti perdono di magia, o diventano qualcos’altro, se manipolati troppo.

Nel ritrarre qualcuno sento ancora il disagio, è una parte di me, che cerco di ascoltare invece di combattere in una battaglia già persa in partenza.

Alec Soth, Sleeping by the Mississippi. Steidl, 2004.
Alec Soth, Sleeping by the Mississippi. Steidl, 2004.

Appunti e Citazioni

«Finally, priming alone was not sufficient to promote a priming effect on walking speed comparable to Bargh et al's. We also had to manipulate experimenters' beliefs so that they would expect the primed subjects to walk slower. This finding is congruent with recent evidence showing that primed behavior is sensitive to the context in which it takes place [...]. Experimenters' expectations seem to provide a favorable context to the behavioral expression of the prime. Obviously, this interpretation remains tentative, as we do not know how this process operates. However, it is likely that experimenters who expect their participants to walk slower behave differently than those who expect their participants to walk faster and that such behavioral cues are picked up by participants». Stéphane Doyen, Olivier Klein, Cora-Lise Pichon, Axel Cleeremans, Behavioral Priming: It's All in the Mind, but Whose Mind? PLoS One, 18 gennaio 2012.
«Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento si disperde e si raccoglie, viene e va». Eraclito, Sulla natura. 91, Diels-Kranz.
«The image as shock and the image as cliché are two aspects of the same presence [...]. Conscripted as part of journalism, images were expected to arrest attention, startle, surprise. As the old advertising slogan of Paris Match, founded in 1949, had it: “The weight of words, the shock of photos.” The hunt for more dramatic (as they’re often described) images drives the photographic enterprise, and is part of the normality of a culture in which shock has become a leading stimulus of consumption and source of value […]. How else to get attention for one’s product or one’s art? How else to make a dent when there is incessant exposure to images, and overexposure to images, and overexposure to a handful of images seen again and again? The image as shock and the image as cliché are two aspects of the same presence». Susan Sontag, Regarding The Pain of Others. Penguin, edizione 2004.
«Volevo raccontare il dolore senza alcuna filosofia. Volevo descrivere un’educazione al dolore e il suo utilizzo politico. Ma in letteratura il dolore per lo più esclude la letteratura. E nelle politiche esistenti il dolore è spesso ciò che ci induce a implorarne la fine.

Vero/falso:

In filosofia il dolore è una piuma strappata a un uccello.

In letteratura il dolore è un indice sottratto al suo libro.

Nei film il dolore è un albero, mai la sua scure.

Si vocifera che qualunque considerazione sul dolore nidifichi nella sua fenomenologia, ma la fenomenologia di solito si interrompe in una modesta scheggia di pena disponibile dichiarandola completa e universale.

[...]

Una nozione ampiamente accettata sul dolore sembra essere che “distrugge il linguaggio”. Ma non è vero: lo cambia. Difficoltà non significa impossibilità. Il fatto che all’inglese manchi un lessico adeguato a tutto ciò che fa male non vuol dire che sarà sempre così, solo che i poeti e i mercati che hanno inventato i suoi dizionari non hanno ancora - in materia di sofferenza - fatto il lavoro necessario». Anne Boyer, Non morire. La nave di Teseo, edizione 2020.
«[...] si rifanno “al modello idraulico”, secondo il quale l’accumulo di energia [...], proprio come l’acqua bloccata da una diga, finisce per trovare una valvola di sfogo o comunque uno sbocco». David G. Myers, Jean M. Twenge, Elena Marta e Maura Pozzi, Psicologia sociale. McGraw Hill Education, III edizione 2017.
«L’ipotesi catartica è stata estesa fino a includere la liberazione emotiva ottenuta teoricamente non solo dall’osservazione delle vicende nei drammi, ma anche attraverso il ricordo e il rivivere eventi passati, esprimendo emozioni e compiendo azioni». David G. Myers, Jean M. Twenge, Elena Marta e Maura Pozzi, Psicologia sociale. McGraw Hill Education, III edizione 2017.
«Gli psicologi studiano dei fenomeni ma “dopotutto!” quelli che osservano sono esseri umani. Persone felici e infelici, uomini che si suicidano e bambini che giocano, persone deluse che cadono in depressione, persone che si sforzano per raggiungere fini alti e difficoltosi, persone che sognano, progettano, che delinquono e così via. Persone che hanno bisogno di guida, di aiuto, di cure. Quale giovamento possono trarre queste persone dal calcolo, dalla misurazione e classificazione delle loro pene? Poco. Quello che occorre fare è guardare dietro la facciata degli eventi, andare al di sotto della superficie cercando di elaborare una metodologia descrittiva, ma anche tale da consentirci un'analisi empirica senza fermarci alla pura speculazione». Kurt Lewin  citato da Piero Amerio in David G. Myers, Jean M. Twenge, Elena Marta e Maura Pozzi, Psicologia sociale. McGraw Hill Education, III edizione 2017.
«Q: How did you overcome your fear of photographing people?

Soth: I started out with kids because that was less threatening. I eventually worked my way up to every type of person. At first, I trembled every time I took a picture. My confidence grew, but it took a long time. I still get nervous today. When I shoot assignments I’m notorious amongst my assistants for sweating. It’s very embarrassing. I did a picture for the The New Yorker recently and I was drenched in sweat by the end and it was the middle of winter». Alec Soth in Anne-Celine Jaeger, Image Makers, Image Takers. Thames & Hudson, expanded edition 2010.
«In 1978, in January, I stopped drinking. I had never thought drinking made me a writer, but now I suddenly thought not drinking might make me stop. In my mind, drinking and writing went together like, well, scotch and soda. For me, the trick was always getting past the fear and onto the page. I was playing beat the clock—trying to write before the booze closed in like fog and my window of creativity was blocked again.

[...]

I told myself that if sobriety meant no creativity I did not want to be sober. Yet I recognized that drinking would kill me and the creativity. I needed to learn to write sober—or else give up writing entirely. Necessity, not virtue, was the beginning of my spirituality. I was forced to find a new creative path.

[...]

Writing became more like eavesdropping and less like inventing a nuclear bomb. It wasn’t so tricky, and it didn’t blow up on me anymore. I didn’t have to be in the mood. I didn’t have to take my emotional tem­perature to see if inspiration was pending. I simply wrote. No negotiations. Good, bad? None of my business. I wasn’t doing it. By resigning as the self- conscious author, I wrote freely.

[...]

In retrospect, I am astounded I could let go of the drama of being a suffering artist. Nothing dies harder than a bad idea. And few ideas are worse than the ones we have about art. We can charge so many things off to our suffering- artist identity: drunkenness, promiscuity, fiscal problems, a certain ruthlessness or self-destructiveness in matters of the heart. We all know how broke-crazy-promiscuous-unreliable artists are. And if they don’t have to be, then what’s my excuse?

The idea that I could be sane, sober, and creative terrified me, implying, as it did, the possibility of personal accountabil­ity. “You mean if I have these gifts, I’m supposed to use them?” Yes». Julia Cameron, The Artist’s Way. Penguin, edizione 2016.
«My own awkwardness comforts people, I think. It’s part of the exchange».  Alec Soth, Intervista su New York Times, 2009.
«IC: Your portraiture always feel incredibly sensitive no matter the subject, what advice would you give photographers wanting to shoot a similar style of portraiture, in order to respect subjects?

GM: My mother taught me empathy by telling me that everyone was going through something. No matter who they are, rich or poor, they are probably struggling on some level. When I come upon a scene or a person, I assume that person is in the midst of some conflict. I will never know, and I don’t need to know to make a good picture, but I think that influences how I see people and how I photograph them.

Having said that, when I make a picture, my camera is not the easiest camera with which to be photographed. I’m pretty fast by large format standards, but still people have to wait for me to focus and often more than once. People tell me it feels like they are at the dentist or getting a chest X Ray. So I can’t say it feels very tender at the moment of making the picture. I do have great patience though. Sometimes a picture will fall apart in the making of it. That’s hard but my subjects are rarely a guarantee. These are not professional models, they are regular people that didn’t know they were going to be photographed today (or ever), so I can’t get upset if it doesn’t work out. Me being a photographer is about me. As a group, photographers can be egomaniacs. Some photographers show up thinking everything revolves around them and when the whole thing collapses, they get mad at everyone as if it’s someone else's fault they’re not good photographers. That’s nuts. For me, it’s all my responsibility, the light, time of day, my subjects listening to me, not listening to me. I have to take it all on because this is my venture, not theirs or anyone else's.

But even still, when a picture doesn’t work out, I can still be heartbroken. When I teach large format, I tell my students that the dark cloth is so you can hide behind the camera and cry». Greg Miller, Q&A: in conversation with Greg Miller. Intrepid Camera, marzo 2020.

Bibliografia

John A. Bargh, Mark Chen, and Lara Burrow, Automaticity of Social Behavior: Direct Effects of Trait Construct and Stereotype Activation on Action. New York University, Journal of Personality and Social Psychology, 1996. Vol. 71, No. 2. 230-244.

Anne Boyer, Non morire. La nave di Teseo, edizione 2020.

Julia Cameron, The Artist’s Way. Penguin, edizione 2016.

Stéphane Doyen, Olivier Klein, Cora-Lise Pichon, Axel Cleeremans, Behavioral Priming: It's All in the Mind, but Whose Mind? PLoS One, 18 gennaio 2012.

Anne-Celine Jaeger, Image Makers, Image Takers. Thames & Hudson, expanded edition 2010.

Greg Miller in Q&A: in conversation with Greg Miller. Intrepid Camera, 20 marzo 2020.

David G. Myers, Jean M. Twenge, Elena Marta e Maura Pozzi, Psicologia sociale. McGraw Hill Education, III edizione 2017.

Susan Sontag, Regarding The Pain of Others. Penguin, edizione 2004.

Alec Soth in Hilarie M. Sheets, Trolling for Strangers to Befriend. New York Times, 31 luglio 2009.

Libri fotografici e Serie

Richard Avedon, The Duke and Duchess of Windsor, Waldorf Astoria, Suite 28A, New York. MoMA, 1957.

Mike Brodie, A Period of Juvenile Prosperity. Twin Palms Publishers, 2013.

Anne Carson, Nox. New Directions, 2009.

Bruce Gilden, Portraits.

Awoiska van der Molen, The Living Mountain. Fw:Books, 2020.

Richard Renaldi, Touching strangers.

Alessandra Sanguinetti, The Adventures of Guille and Belinda and The Enigmatic Meaning of Their Dreams. MACK.

Alessandra Sanguinetti, The Adventures of Guille and Belinda and the Illusion of an Everlasting Summer. MACK.

Alec Soth, Sleeping by the Mississippi. Steidl, 2004.

Sarah J. Winston, Homesick. Zatara Press, 2015.

Francesca Woodman, Self-deceit #1. Roma, Italy, 1978.

Video

Vi lascio anche due brevi video “bonus” sugli studi classici di priming che ho citato, nel caso non siate così nerd da andare a leggere gli studi originali. Sono un accenno giusto per capire come funzionano, soprattutto il secondo. Si tratta di una replica dell’esperimento di Bargh e colleghi del 1996 adattata per la televisione, non ha nessuna validità sperimentale, non c’è un gruppo di controllo e le persone testate sono troppo poche per avere dei risultati significativi. Anche lo studio originale è stato contestato ed oggi c’è accordo che il priming non abbia effetti così evidenti sul comportamento, mentre è più evidente l’influenza delle aspettative degli sperimentatori sui risultati (se vi interessa il discorso, qui c’è un articolo interessante).