#2022.3 Marzo

Il riassuntone numero tre.

#2022.3 Marzo

Le primule sono sbocciate, gli alberi sono in fiore e anche marzo è finito!

Una piccola novità: Substack ha lanciato una propria applicazione. Al momento è disponibile solo per iOS, ma da dietro le quinte mi dicono che uscirà anche la versione per Android.

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Sto facendo crescere questo posto nella maniera più organica possibile, anche se significa procedere con molta calma. Mi sta bene, non ho fretta. Anzi, credo sia giusto così visto che in fin dei conti è un’esperienza nuova anche per me.

Vi ringrazio moltissimo per il supporto! Se avete in mente una persona alla quale potrebbero piacere gli argomenti trattati qui dentro, non dovete far altro che condividere:

Marzo è stato un mese ricco di contenuti, per aprile e maggio ho in programma di dedicare un po’ più di spazio alla fotografia. Senza contare i riassunti mensili, mancano solo quattro articoli per finire questo ciclo prima di passare ai post estivi, non mi sembra vero!

E ora, senza ulteriore indugio, passiamo al riassuntone di marzo.

Argomenti trattati

Il 3 di marzo ci siamo occupati di composizione e di cultura. La società in cui nasciamo e ci sviluppiamo influenza le strutture del nostro pensiero e questo si riflette nel modo in cui percepiamo e riproduciamo il mondo.

Agli albori della psicologia molti studiosi ritenevano che esistessero delle strutture di pensiero universali, uguali per tutti. Oggi, gli psicologi contemporanei ritengono che esista un insieme di processi di base ugualin(come la memoria o la percezione) ma che, in generale, persone che appartengono a culture differenti percepiscano e interpretino la realtà intorno a loro in maniera diversa.

Richard E. Nisbett è uno psicologo sociale americano che studia da diversi anni questo settore, anche attraverso serie di esperimenti che coinvolgono studenti da tutte le parti del mondo. Uno di questi è l’esperimento del pesce.

L’esperimento del pesce riportato in Richard E. Nisbett, Yuri Miyamoto, The influence of culture: holistic versus analytic perception, 2005.
L’esperimento del pesce riportato in Richard E. Nisbett, Yuri Miyamoto, The influence of culture: holistic versus analytic perception, 2005.

Di fronte ad un’immagine come questa gli studenti statunitensi si concentrano più sul pesce più grande, mentre i colleghi cinesi notano più dettagli sullo sfondo e in tutti gli altri elementi. I risultati portano a pensare che esistano schemi di pensiero focalizzati su di un soggetto principale, una categoria, mentre altri danno più peso alle relazioni tra gli elementi.

«Not only are worldviews different in a conceptual way, but also the world is literally viewed in different ways. Asians see the big picture and they see objects in relation to their environments—so much so that it can be difficult for them to visually separate objects from their environments. Westerners focus on objects while slighting the field and they literally see fewer objects and relationships in the environment than do Asians». Richard E. Nisbett, The Geography of Thought: How Asians and Westerners Think Differently - and Why. Nicholas Brealey Publishing (edizione Kindle), 2011.

Queste diverse visioni del mondo si riflettono anche in fotografia? Cosa succede quando confrontiamo due lavori esteticamente simili come In the American West di Richard Avedon e Gyahtei di Manabu Yamanaka 山中学?

Richard Avedon, In the American West
Manabu Yamanaka 山中学, Gyahtei.

A differenza dei ritratti dell’Ovest Americano, che sembrano personaggi eterni di una storia, le anziane donne di Gyahtei sono presenti nel fotogramma come individui, fragili e vulnerabili, in quel preciso istante di tempo.

Ora, se due composizioni esteticamente quasi uguali, sfondo bianco e soggetto al centro, possono restituire sensazioni e informazioni così diverse, in quali altri elementi sta la differenza?

#1.5 Grandi pesci
In questo articolo parleremo composizione, e di pesci. L’organizzazione degli elementi all’interno della cornice fotografica è uno degli argomenti che trovo più interessanti e sui quali ritorno più e più volte. Esistono molti modi diversi per leggere un’immagine ma, per partire, possiamo decidere se analizzarla nelle singole parti o guardarla nell’insieme.

Nell’articolo successivo abbiamo parlato di come, da sola, l’informazione non abbia alcun senso. Siamo immersi in un flusso di stimoli così come siamo sepolti da quintali di immagini.

Erik Kessels, 24hrs in photos. Fonte: erikkessels.com

La saturazione di informazione porta con sé un pericolo reale: l’informazione consuma l’attenzione delle persone a cui è rivolta. E l’attenzione, così come il tempo, sono risorse preziose. E quindi: perché continuare ad aggiungere informazione su informazione creando ancora immagini?

Siamo sommersi dalle immagini, è vero. Ma le storie, quelle non saranno mai abbastanza. Ne abbiamo bisogno per crescere, per spostare i paletti delle nostre culture e per risanare le nostre comunità.

Come fotografe e fotografi abbiamo a che fare con un tipo di informazione, quella visiva. Dovremmo essere più allenati a riconoscere l’informazione senza senso, che diventa rumore, e di accorgerci che

«[…] tale muro nasconde una sterminata realtà invisibile di cui sappiamo poco o nulla, di cui non abbiamo nessuna immagine». Gigliola Foschi, Le fotografie del silenzio. Forme inquiete del vedere. Mimesis, 2015.

È un talento prezioso da coltivare in tempi come questi, e anche da regalare agli altri, se si presenta l’occasione. La capacità di vedere non si consuma se condivisa.

La narrazione ci permette di ordinare questa informazione, di dare un senso e costruire mondi che hanno regole e logiche he non necessariamente devono rispecchiare la realtà oggettiva del mondo fisico. Possiamo mischiare il tempo, collegare cose distanti, creare nuovi concetti.

#1.6 Informazione e narrazione
Breve comunicazione di servizio: da marzo in poi ho deciso di cambiare il giorno di invio del resoconto mensile dal 27 all’ultimo giorno del mese. Questo significa che giovedì 31 marzo riceverete entrambe le email, una la mattina e il riassunto verso sera. L’alternativa era escludere l’articolo del 31 dal riassunto di marzo per includerlo in quello di aprile. Non sarebbe cambiato molto in realtà, ma per qualche motivo la cosa scombinava il mio ordine mentale.

Abbiamo concluso questo mese con un’ode all’ozio. Mi sembrava la cosa più appropriata per dare il benvenuto ad Aprile-Dolce-Dormire.

Nella nostra società il riposo raramente viene visto come come un’attività importante e a sé stante. È un premio, meritato solo dopo il lavoro, meglio se ci si arriva stremati. Gli antichi Romani avevano un concetto di ozio molto diverso dal nostro. L’otium era tempo dedicato allo studio, alla vita sociale conviviale, al gusto della bellezza e dell’arte, all’attività fisica e alla contemplazione. Tutto quello che non aveva a che fare con il profitto e la vita pubblica.

La creatività, il problem solving e il pensiero produttivo hanno bisogno di momenti di ozio. Il contesto che chiede alle nostre menti di produrre contenuti in serie, di spingerci sempre oltre il massimo delle nostre capacità è un ambiente tossico per il pensiero produttivo. È un allevamento intensivo di menti.

L’essere umano di per sé non è particolarmente forte o adatto all’usura del lavoro continuo. Siamo arrivati fino ad oggi imparando a risparmiare le forze, tra le altre cose. Il principio di minimo sforzo si basa su un approccio orientato all’economia secondo il quale investo il numero minimo di risorse che mi servono per ottenere un risultato soddisfacente.

Anche la nostra mente lavora secondo un approccio di risparmio cognitivo. Alcuni modelli psicologici sostengono che la mente elabori l’informazione attraverso due “vie”, una lenta e analitica e una veloce ed euristica, in base alle risorse cognitive a disposizione, al tempo ma anche alla motivazione.

Le immagini sono indizi veloci, la nostra mente le processa immediatamente, traendo conclusioni così dirette da sembrarci istintive. Reazioni emotive che non sappiamo quasi definire a parole perché arrivano prima di qualsiasi altro pensiero.

Cig Harvey, Scout and reflections, 2015. Fonte: cigharvey.com.

Le fotografie spesso racchiudono un messaggio sotto la superficie estetica, che sia intenzionale o interpretato da chi osserva. Questo significato è quello che viene elaborato dalla via lenta, dallo sguardo critico, che va a sviscerare ogni singola nozione, dalla tecnica usata, al contesto, alla biografia dell’autore.

Non c’è una via migliore dell’altra, colgono aspetti diversi e il punto non è quale sia meglio, ma cosa sia più utile in un dato momento. A volte si tende a dare troppo peso al pensiero critico sfavorendo un po’ le impressioni di pancia. Altre volte, invece, si riduce tutto ad una questione di mi piace/non mi piace.

Le fotografie più potenti sono sempre come le cipolle, restano in testa e continuano a restituire qualcosa ogni volta che si guardano. Hanno il vantaggio della doppia codifica: l’informazione che rimane immagazzinata nella nostra testa sia in forma emotiva che cognitiva, veloce e lenta, è più forte e permane più a lungo.

#1.7 Ode all'ozio
I lupi passano la maggior parte delle loro vite a oziare. Non mi sono segnata i riferimenti, ma un bel po’ di mesi fa sono incappata in questo studio che seguiva la vita di un branco in natura, giungendo a due conclusioni: quando il cibo abbonda e le minacce esterne sono poche, i lupi oziano perché c’è tutto quello che serve per vivere tranquilli;

Appunti e Citazioni

«A narrator constructs a world - and being thoughtful about it will do you wonders [...]. Narrativity is world-building, or at least scene-setting, and if you’re not cognizant of the potential results of what kind of house you’ve built and the order of each room, you can make a dog’s breakfast out of it all quickly». Ian Lynam, The Impossibility of Silence: Writing for Designers, Artists & Photographers. Onomatopee, edizione 2020.
«Everyone has the same basic cognitive processes. Maori herders, !Kung hunter-gatherers, and dotcom entrepreneurs all rely on the same tools for perception, memory, causal analysis, categorization, and inference [...]. Human cognition is not everywhere the same». Richard E. Nisbett, The Geography of Thought: How Asians and Westerners Think Differently - and Why. Nicholas Brealey Publishing (edizione Kindle), 2011.
«The Chinese believe in constant change, but with things always moving back to some prior state. They pay attention to a wide range of events; they search for relationships between things; and they think you can’t understand the part without understanding the whole. Westerners live in a simpler, more deterministic world; they focus on salient objects or people instead of the larger picture; and they think they can control events because they know the rules that govern the behavior of objects». Richard E. Nisbett, The Geography of Thought: How Asians and Westerners Think Differently - and Why. Nicholas Brealey Publishing (edizione Kindle), 2011.
«Not only are worldviews different in a conceptual way, but also the world is literally viewed in different ways. Asians see the big picture and they see objects in relation to their environments—so much so that it can be difficult for them to visually separate objects from their environments. Westerners focus on objects while slighting the field and they literally see fewer objects and relationships in the environment than do Asians. If some people view the world through a wide-angle lens and see objects in contexts, whereas others focus primarily on the object and its properties, then it seems likely that the two sorts of people will explain events quite differently. People having a wide-angle view might be inclined to see events as being caused by complex, interrelated contextual factors whereas people having a relatively narrow focus might be prone to explain events primarily in terms of properties of objects». Richard E. Nisbett, The Geography of Thought: How Asians and Westerners Think Differently - and Why. Nicholas Brealey Publishing (edizione Kindle), 2011.
«A prima vista, i suoi ritratti frontali a figura intera di ragazze europee e nordamericane realizzati su una spiaggia sembrano semplici e diretti, più vicini al lavoro di August Sander, i cui soggetti sembravano definirsi mediante la nitida presenza fisica e uno scarso intervento dell’autore […]. La fotografa non impone la sua presenza in modo aggressivo, come nel caso di Diane Arbus. I soggetti sembrano brillare di luce propria […].

Il braccio di ferro per il controllo tra fotografo e soggetto è presente in qualunque sessione fotografica. Alcuni di essi, come Diane Arbus e Richard Avedon, sono soliti scegliere il momento in cui i soggetti appaiono soggiogati dallo sguardo dell’artista. Altri, quali Walker Evans e August Sander, preferiscono quello in cui i soggetti sembrano imporsi in modo evidente, come se il fotografo non fosse presente. In ogni caso, sebbene in modo diverso, la posa sembra risoluta. Il soggetto è dominato o dominante. Negli scatti di Rineke Dijkstra si verificano entrambe le situazioni; l’artista mantiene il braccio di ferro andando alla ricerca del momento non decisivo o transitorio, quando una posa è in procinto di formarsi o nell’atto di disintegrarsi […]. Al centro di ciascuna posa vi è un senso di instabilità e tensione, che può essere considerato l’emblema perfetto dell’incertezza adolescenziale, ma anche un tratto distintivo dell’opera della Dijkstra […]». Roswell Angier, Educare lo sguardo. Introduzione pratica e teorica al ritratto fotografico. Zanichelli, Bologna, 2008.
«“Quando affrontiamo qualcosa con cui non abbiamo familiarità, non riusciamo a fare distinzioni nette. Anch’io, per esempio, ho avuto bisogno di tempo per convincermi che alcune di quelle donne non erano la stessa persona. L’età annulla, e Yamanaka fa bene a costringerci a un confronto in modo così deciso, sorprendente e per nulla sentimentale.”

La particolare natura del soggetto annebbia lo sguardo di chi scrive [...]. La sua percezione iniziale, ovvero che le diciassette donne della serie fossero in realtà una persona sola, fa delle donne anziane - in particolare di quelle nude - uno stereotipo, riducendole a un solo soggetto. Esse cessano di esistere in quanto individui distinti, per precipitare nella percezione errata, seppure confortante, di categoria, che consente di prendere le distanze». Roswell Angier, Educare lo sguardo. Introduzione pratica e teorica al ritratto fotografico. Zanichelli, Bologna, 2008.
«“Secondo piano” è una strana espressione. [...] il termine suggerisce altresì una perdita di valore, relativa alla sua complementarità o opposizione. Fotografi e osservatori tendono in eguale misura a prestare meno attenzione a ciò che si trova in secondo piano, perché ritengono che sia meno importante di quello che appare in primo piano. In questo risiede l’errore. Bisognerebbe sempre pensare al primo piano e al secondo piano come parti analoghe di una conversazione visiva. Uno sfondo dovrebbe comunicare qualcosa, anche se è vuoto [...]. Il fondale di carta bianco di Richard Avedon è funzionale, perché trasporta i soggetti nell’isolante intensità del modo di guardare del fotografo. I luminosi sfondi bianchi di Manabu Yamanaka, pur essendo simili a quelli di Avedon, svolgono una funzione del tutto diversa, sfidandoci a contemplare i suoi nudi con la mente vuota della meditazione Zen. Contestualizzando e dirigendo attivamente le nostre risposte verso quanto vediamo, tutti gli sfondi fungono da set fotografici. Se essi siano fabbricati con cura o scovati per caso non ha molta importanza; dovrebbero essere trattati tutti come costruzioni, in quanto latori di significato. Essi non sono infatti mai neutrali». Roswell Angier, Educare lo sguardo. Introduzione pratica e teorica al ritratto fotografico. Zanichelli, Bologna, 2008.
«Il regista giapponese Yasujirō Ozu sistemava di persona ogni oggetto dei suoi film: cuscini, tende, teiere, bottiglie di sakè. Poi scattava molte fotografie con cui studiare i punti di vista e la composizione generale [...].

Ora, una delle leggi del cinema classico - quello codificato in primis a Hollywood - impone di non rompere mai la continuità tra le immagini: ossia, tra una scena e l’altra, gli oggetti, la luce, gli attori devono trovarsi sempre nello stesso posto [...]. Ozu queste regole le conosce bene - aveva iniziato a lavorare negli anni Venti, quando il cinema giapponese era modellato sui film americani -, però decide di fare di testa sua: per lui quello che conta è l’equilibrio del singolo fotogramma, come fosse un dipinto.

[...]

Seguendo questa logica Ozu arrivava persino a cambiate dimensioni alle cose [...]. Quando i critici gli facevano notare che si trattava di errori, lui con pacatezza rispondeva che gli interessava altro, che nel cinema - come del resto in tutta l’arte - non c’è un’unica via per fare le cose [...]. Comportamenti di questo tipo possono essere interpretati come un tratto caratteriale, e di certo lo sono. Non si può tuttavia ignorare che nella cultura giapponese il modo di sistemare le cose è un’arte a sé, con una storia secolare: si pensi agli spazi della casa tradizionale ricoperti con tatami incastrati fra di loro, o ai giardini zen o all’ikebana, la pratica di arrangiare fiori nei vasi.

[...]

La composizione in pittura è dunque la vita emendata non del brutto o del doloroso, ma degli aspetti stonati». Riccardo Falcinelli, Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram. Giulio Einaudi Editore, Torino, 2020.
«Inoltre, fotografando, “resistendo” nell’abisso dello specchio per mezzo del suo atto di fotografo, è dunque alla fotografia che Degas affida - riaffermandosi in ciò discepolo di Nadar - almeno una parte del compito che suggerisce, far sì che il “qui” continui a essere il luogo dotato di valore». Yves Bonnefoy, Poesia e fotografia. O Barra O Edizioni, 2015.
«Le immagini non sono immagazzinate come copie in fac-simile di oggetti, o eventi, o parole, o frasi; il cervello non incasella foto polaroid di persone, cose o paesaggi; non archivia nastri registrati di musiche e discorsi, né filmati di episodi della nostra vita [...]. Nel corso della propria esistenza, ciascuno di noi acquisisce una marea di conoscenze, cosicché qualsiasi tipo di archiviazione porrebbe insormontabili problemi di capacità: se il cervello fosse assimilabile a una biblioteca, come una biblioteca presto verrebbe a trovarsi in difetto di scaffali. Inoltre, l’archiviazione di copie presenta di solito non facili problemi di efficienza dell’accesso, quando occorre ritrovarle. Per esperienza diretta tutti sappiamo che quando vogliamo richiamare un dato oggetto, o volto, o scena, non otteniamo la riproduzione identica, ma piuttosto un’interpretazione, una versione ricostruita di fresco dell’originale. Inoltre, le versioni del medesimo originale si modificano con il passare degli anni e il mutare dell’esperienza, e nessuna è compatibile con una rigida rappresentazione in copia: è un’osservazione che lo psicologo inglese Frederic Bartlett fece già qualche decennio addietro, quando fu il primo a sostenere che la memoria è essenzialmente ricostruttiva». Antonio Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Milano: Adelphi, edizione 2021.
«D’altro canto, il vantaggio di questo eccesso è il conseguente accesso esaustivo e immediato alle immagini, che in tal modo perdono la condizione di oggetti di lusso goduta un tempo. La postfotografia ci mette di fronte all'immagine smaterializzata, e questa natura prevalente d'informazione senza corpo farà delle immagini un’entità che potrà essere trasmessa e messa in circolo in un flusso frenetico e incessante. Questa situazione, secondo José Luis Brea, fa si che esse vivano fra l’apparizione e la sparizione; «in gran parte, le immagini elettroniche possiedono la qualità delle immagini mentali. Appaiono in luoghi dai quali scompaiono immediatamente dopo. Sono spettri, puri spettri, alieni a ogni principio di realtà». Joan Foncuberta, La furia delle immagini. Note sulla postfotografia. Einaudi, 2018.
Paola Bressan, Il colore della luna. Come vediamo e perché. Laterza, 2019.
Paola Bressan, Il colore della luna. Come vediamo e perché. Laterza, 2019.
«Scopo precipuo di questo movimento fu quello di introdurre nello studio della percezione come variabili indipendenti anche i fattori motivazionali, e più in generale personologici, e i fattori sociali, dalle norme e dai valori alle problematiche di gruppo. Il nome, New look on perception, un nuovo punto di vista sulla percezione, fu dato al movimento da David Krech (1949-50). Il bersaglio era il «vecchio» punto di vista (old look), con riferimento soprattutto ai gestaltisti, che escludevano nel processo percettivo l’intervento di qualsiasi fattore che fosse diverso da quei fattori autoctoni autoorganizzantisi propri della dinamica del campo percettivo». Riccardo Luccio, Storia della psicologia: un’introduzione. Edizione Kindle.
Positive Psychology: An Introduction. American Psychologist, febbraio 2000. Fonte: researchgate.net.
Positive Psychology: An Introduction. American Psychologist, febbraio 2000. Fonte: researchgate.net.
«Il moltiplicarsi all’infinito delle fotografie che colgono solo il fuori della vita può contribuire alla fine del mondo. Ma alcuni fotografi, grandi in questo, cercano di salvarlo». Yves Bonnefoy, Poesia e fotografia.
«Le immagini di qualcosa che non è ancora accaduto - e in effetti potrebbe non accadere mai - non hanno natura differente da quelle di qualcosa che è già accaduto. Esse costituiscono il ricordo di un futuro possibile anziché di un passato che fu». Antonio Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Milano: Adelphi, edizione 2021.
«What information consumes is rather obvious: it consumes the attention of its recipients. Hence a wealth of information creates a poverty of attention, and a need to allocate that attention efficiently among the overabundance of information sources that might consume it». Herbert Simon.
«[…] tale muro nasconde una sterminata realtà invisibile di cui sappiamo poco o nulla, di cui non abbiamo nessuna immagine». Gigliola Foschi, Le fotografie del silenzio. Forme inquiete del vedere. Mimesis, 2015.
«I sognatori sacri portavano un papiro nella stanza dell’incubazione - per i Romani, pare, i sogni venivano fatti per essere trascritti. Aristide sostiene di aver trascritto più di trecentomila versi nel suo diario dei sogni che poi usò come bozza per il suo libro. Gli studiosi successivamente chiamarono quel diario che non leggeremo mai “il modo scartato” di raccontare la storia». Anne Boyer, Non morire. La nave di Teseo, edizione 2020.
«C'è, naturalmente, un ritorno a questo genere con persone che cercano di “condire” le loro opere e convincere gli altri che la mancanza di informazione in un'immagine costituisce il suo mistero. “Scommettiamo che non riesci a indovinare che cosa rappresenta questa foto?” Perché è interessante?

Molti scrittori come James Joyce, William Carlos William e William Burroughs, hanno tentato di rompere i canoni letterari con i loro tentativi di allontanarsi dalla narrativa tradizionale per comprendere un orizzonte emotivo e intellettuale più ampio. Non si interessano tanto alle "verità fattuali" quanto alle verità emotive. È diverso rispetto a trattenere dell'informazione per creare qualcosa che ha l'apparenza del mistero. […] L'arte vive nella tensione tra astrazione e descrizione». Philip Perkis, Insegnare fotografia (Note raccolte). Skinnerbox, serie Skinnerbox Note, II edizione settembre 2018.
«Practice does not make perfect. It is practice, followed by a night of sleep, that leads to perfection». Matthew Walker, Why We Sleep: The New Science of Sleep and Dreams. Scribner, 2017.
Stephen Shore, Letter to a young artist. Fonte: stephenshore.net.
Stephen Shore, Letter to a young artist. Fonte: stephenshore.net.
«The artist is a collector. Not a hoarder, mind you, there’s a difference: Hoarders collect indiscriminately, artists collect selectively. They only collect things that they really love». Austin Kleon, Steal Like an Artist: 10 Things Nobody Told You About Being Creative. Workman Publishing Company, Edizione Kindle.
Anna Bonshek, Corrina Bonshek, Lee Fergusson, The Big Fish: Consciousness as Structure, Body and Space.
Anna Bonshek, Corrina Bonshek, Lee Fergusson, The Big Fish: Consciousness as Structure, Body and Space. Fonte: Google Books.
«Parole che non vanno a segno, parole svalutate, rimaste in testa o sulla punta della lingua, altre che invece si dimenano sguaiate, per paura di non essere espressive abbastanza». Edoardo Albinati, Velo pietoso. Una stagione di retorica. Rizzoli, 2021.
«Semmai può essere più intenzionale perché coinvolge più parti di me nell'attività. In un certo senso, affido parte della responsabilità al mio istinto, i miei impulsi e la mia ricettività, e tolgo un po' di peso dalla mia mente, la qual cosa potrebbe farla funzionare meglio di quando deve portare tutto il carico del lavoro da sola». Philip Perkis, Insegnare fotografia (Note raccolte). Skinnerbox, serie Skinnerbox Note, II edizione settembre 2018.
«When I made The Black Rose, which was seven years of work and took up the whole ground floor of the Art Gallery of South Australia and nearly killed me, I didn’t think I’d take another picture after that. I thought I was done and dusted. I put every ounce of energy I had over those seven years into trying to discover the meaning of life using the camera. And by the time I’d finished, I was just absolutely mentally shot. I sort of had a period where I thought, ‘Well, I’m done with photography. I’ve been shooting since I was 13 years old. I’ve explored every single option that I can,’ and there was a sort of feeling of that’s it . But when we came to Adelaide, that was one of the reasons to shoot a body of work here: the light here is so different from everywhere else, and you get that amazing light all the way down to the horizon at the beach. Something takes over, something catches your eye and you become drawn into something else. And that’s basically how The Crimson Line  started. I became sort of fascinated with this particular colour in the sky. And I would only shoot at the very first five minutes of the day of sunlight». Trent Parke, Intervista su Monster Children. Maggio 2020.

Bibliografia

Edoardo Albinati, Velo pietoso. Una stagione di retorica. Rizzoli, 2021.

Roswell Angier, Educare lo sguardo. Introduzione pratica e teorica al ritratto fotografico. Zanichelli, Bologna, 2008.

Yves Bonnefoy, Poesia e fotografia. O Barra O Edizioni, 2015.

Anna Bonshek, Corrina Bonshek, Lee Fergusson, The Big Fish: Consciousness as Structure, Body and Space. Brill, 2007.

Anne Boyer, Non morire. La nave di Teseo, edizione 2020.

Paola Bressan, Il colore della luna. Come vediamo e perché. Laterza, 2019.

Antonio Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Milano: Adelphi, edizione 2021.

Riccardo Falcinelli, Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram. Giulio Einaudi Editore, Torino, 2020.

Joan Foncuberta, La furia delle immagini. Note sulla postfotografia. Einaudi, 2018.

Gigliola Foschi, Le fotografie del silo. Forme inquiete del vedere. Mimesis, 2015.

Austin Kleon, Steal Like an Artist: 10 Things Nobody Told You About Being Creative. Workman Publishing Company, Edizione Kindle.

Riccardo Luccio, Storia della psicologia: un’introduzione. Edizione Kindle.

Ian Lynam, The Impossibility of Silence: Writing for Designers, Artists & Photographers. Onomatopee, edizione 2020.

Richard E. Nisbett, The Geography of Thought: How Asians and Westerners Think Differently - and Why. Nicholas Brealey Publishing (edizione Kindle), 2011.

Philip Perkis, Insegnare fotografia (Note raccolte). Skinnerbox, serie Skinnerbox Note, II edizione settembre 2018.

Stephen Shore, Letter to a young artist.

Matthew Walker, Why We Sleep: The New Science of Sleep and Dreams. Scribner, 2017.

Trent Parke in Trent Parke’s Crimson Line. Monster Children, maggio 2020.

Libri fotografici e Serie

Ansel Adams, Moonrise, Hernandez, New Mexico, 1941.

Philip Kwame Apagya, No Place Like Home, 1996.

Diane Arbus, Child with a toy hand grenade in Central Park, N.Y.C., 1962.

Richard Avedon, In the American West, 1985.

Rineke Dijkstra, Hilton Head Island, S.C., USA, June 22, 1992.

Masahisa Fukase, Yohko, 1978.

Nan Goldin, The Ballad of Sexual Dependency, 1986.

Cig Harvey, You an Orchestra You a Bomb, 2017.

Erik Kessels, 24hrs in photos.

Jocelyn Lee, Bountiful.

Gjon Mili, Alfred Hitchcock on the set of Shadow of a Doubt, 1942.

Eadweard Muybridge, Animal Locomotion: an Electro-Photographic Investigation of Connective Phases of Animal Movements, 1887.

Trent Parke, The Crimson Line.

Cristophe Rihet, Crossroads.

August Sander, People of the Twentieth Century.

Toshio Shibata 柴田敏雄.

Liu Silin 刘思麟 a.k.a. Celine Liu, I’m everywhere.

Tokiwa Toyoko (常盤とよ子), The Day of Festival, 1955.

Manabu Yamanaka 山中学, Gyahtei.

William Waterworth, Death. Wales, 2021.

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