#2.5 Fotografo®
Lo speciale di Halloween.
Qualche volta ho l’impressione di non rispecchiare tutte le caratteristiche che fanno il vero Fotografo®. Se esistesse un esame che abilitasse alla pratica della fotografia misurando solo comportamenti, aspetto e look, non credo riuscirei a superarlo. Perderei qualche punto anche solo per il fatto di essere donna. Si, esatto, anche se siamo nel 2022. Sì, la disparità è minore di una volta, ma non è ancora sparita, siamo onesti.
Ogni tanto mi sembra persino di intuire in alcune persone una certa diffidenza e delusione, come se non fossi chi si aspettavano. Molto più spesso è la sensazione di non riuscire ad incastrarmi perfettamente in una certa forma, e di dovermi adattare o dare giustificazioni per compensare. Tanto per dirne una: ogni volta che ci siamo presentati insieme in qualche occasione fotografica, dalla mostra del paese ad un lavoro insieme per la prima volta, mio marito era il fotografo, non io. Sono abbastanza? Il mio tono di voce trasmette indecisione? L’attrezzatura che riesco a portarmi dietro è sufficiente per sembrare professionale?
Credo che costruirsi un’identità come fotograf* sia un processo molto complesso e insidioso. Già la definizione di una propria identità, in generale, è un casino. E non si risolve per magia con la fine dell’adolescenza, è un processo che va avanti per tutta la vita e può trovare ostacoli o facilitazioni anche in base al contesto (storico, sociale, culturale) nel quale si vive1.
Finché rimane un passatempo non ci sono problemi. La fotografia è qualcosa che si fa per sé stessi, uno svago. Non è ancora una parte di quello che siamo, di come ci presentiamo al mondo. Poi, andando avanti, può succedere di entrare a far parte di gruppi, circoli, scuole o addirittura farne un lavoro, e così la fotografia diventa anche parte di quello che siamo. Cominciano ad esistere persone che ci conoscono come fotograf* prima che individui, con tutta una serie di aspettative, atteggiamenti e comportamenti nei nostri confronti che seguono lo stereotipo che hanno in mente.
«- Pazzo e stupido sarai tu, - gli dicevano gli amici, - e per di più rompiscatole. - Per chi vuole recuperare tutto ciò che passa sotto i suoi occhi, - spiegava Antonino anche se nessuno lo stava più a sentire, - l'unico modo d'agire con coerenza è di scattare almeno una foto al minuto, da quando apre gli occhi al mattino a quando va a dormire». Italo Calvino, L’avventura di un fotografo in Gli amori difficili. Mondadori, Edizione Kindle, 2015.
Nel percorso di costruzione di un’identità fotografica ci aggrappiamo anche noi a modelli, a fotograf* che ci ispirano, cercando di capire come si fa e come ci si comporta. Se effettivamente stiamo facendo nel modo giusto oppure no.
Questo succede più o meno per tutti i ruoli in questo mondo. Ma, per la mia esperienza, comincio a pensare che la definizione di una propria identità fotografica sia un processo caleidoscòpico, pieno di contraddizioni e anche divertente da osservare.
«Adesso era soddisfatto. - Bisogna ripartire di qua, - spiegò alle amiche. - Nel modo in cui i nostri nonni si mettevano in posa, nella convenzione secondo la quale venivano disposti i gruppi, c'era un significato sociale, un costume, un gusto, una cultura. Una fotografia ufficiale o matrimoniale o familiare o scolastica dava il senso di quanto ogni ruolo o istituzione aveva in sé di serio e d'importante ma anche di falso e di forzato, d'autoritario, di gerarchico. Questo è il punto: rendere espliciti i rapporti col mondo che ognuno di noi porta con sé, e che oggi si tendono a nascondere, a far diventare inconsci, credendo che in questo modo spariscano, mentre invece...». Italo Calvino, L’avventura di un fotografo in Gli amori difficili. Mondadori, Edizione Kindle, 2015.
Un’altra cosa che mi è saltata all’occhio sull’identità del fotograf*: o si ostenta o si rifugge. Nella prima condizione oltre a dichiararsi al mondo come tale, l’individuo si ricopre, più o meno consapevolmente, di oggetti e atteggiamenti, che mostra, in alcuni casi sfoggia, proprio come simboli della propria condizione2. All’opposto ho conosciuto un sacco di persone che, pur fotografando e lavorando molto e molto bene, fuggivano terrorizzati dall’idea di farsi chiamare fotograf*, non sentendosi proprio tali.
Sia in un caso che nell’altro c’è un modello implicito, uno stereotipo appunto, al quale aspirare o dal quale fuggire. Io sono o non sono quella roba lì. A complicare le cose si aggiunge l’idea che chi fotografa sia anche un po’ artista e creativo. E nell’insieme otteniamo un’identità sempre in tensione tra l’essere canonica e originale. Sii unic* ma anche chi mi aspetto.
C’è chi riesce a costruirsi un personaggio, indossando maschera e costume da fotograf*, e impersonando il ruolo che meglio permettere di raggiungere i propri scopi, che sia portare a casa un lavoro o costruirsi un network di conoscenze utili per la propria attività (professionale, autoriale o amatoriale che sia). Non è ipocrisia, ma la capacità di essere dei buoni camaleonti sociali3 e di riuscire a sfruttare questo talento.
Si tratta di una cosa che io riesco a fare solo con moltissima fatica. Mi porta sempre a farmi un sacco di paturnie (ovvero i dubbi inutili) su chi sono e cosa faccio, e la cosa mi crea sempre molta confusione. Un incubo. Rendermi conto di non avere questa predisposizione mi ha obbligato a riflettere sulla mie possibilità di diventare una fotografa vera (ecco, appunto). Finché, alla fine, non ho esaurito le forze e ho ammesso che questa capacità non mi interessava nemmeno svilupparla più di tanto. Per molto tempo ho ricevuto consigli del tipo Fake it till you make it, ci ho messo un po’ a realizzare che questa strategia per me non andava bene.
Ho una teoria che mi gira per la testa: nel momento in cui la fotografia ci entra sotto la pelle e riporta fuori attraverso le immagini parte della nostra voce e visione diventa anche un pezzo della nostra identità. La nostra identità non è mai unica, un semplice elenco di tratti statici, ma è sempre dinamica e molteplice.
Secondo molti psicologi abbiamo tutti una sorta di nota di base, il temperamento, che rimane abbastanza fisso per tutta la vita. La restante parte di noi è composta da molteplici personalità che impariamo a modulare in base alle situazioni, ai ruoli e agli scopi. Come lo facciamo dipende sia da predisposizioni biologiche che dall’esperienza, e le strategie possono essere funzionali e disfunzionali. Anche a causa del contesto, non dipende sempre e solo tutto dall’individuo, ma questo è un discorso per un’altra volta.
Ritornando ai giorni in cui la sensazione del “non sono fotograf* abbastanza” si sente forte, vi confermo che, in realtà, non esiste un modo giusto di essere fotograf*. E, allo stesso tempo, vi dico anche che tutto il disagio, la frustrazione, l’indecisione e l’insicurezza è capitato di provare non sono solo frutto dell’immaginazione o di troppa sensibilità. Dipendono da quello stereotipo di Fotografo® che la società ci butta addosso. La cultura campiona la realtà e la realtà modifica la cultura, ma solo quando questa non è fossilizzata da strampalati tentativi di “difenderla”. Che già i cambiamenti oppongono resistenza, non c’è per niente bisogno di mettersi ad alzare barriere e barricate.
Ho un’idea di quale sia il modello culturale di riferimento (uomo, bianco, tra i 30 e i 50 anni, tendenzialmente un personaggio dai tratti “machi”, sicuro di sé, e via dicendo). Ma ho voluto lo stesso fare un quasi-esperimento per provare a vederlo proprio con i miei occhi. I risultati non sono statisticamente significativi, ma è stato un gioco divertente.
Ho preso in esame film e serie tv in cui compaiono fotograf*, in qualsiasi ruolo, da protagonista o passante sullo sfondo, professionist* o gente che utilizza la macchina fotografica per un qualsiasi altro scopo. Mi interessava vedere come e perché la fotografia è stata inserita nella trama, a quali personaggi e tratti caratteriali è stata associata. Ho considerato anche rappresentazioni fittizie di fotografi reali, ma non film o documentari biografici.
Ci sono film di tutti i generi (escluso il porno). Mi sono limitata a questo tipo di media per facilitarmi la ricerca ma anche perché sono ancora uno dei mezzi più potenti di diffusione di cultura e rappresentazioni. Ci sono film belli, film meh e film brutti, non ho fatto una selezione di preferenze o qualità.
Nelle ultime due settimane ho raccolto quasi 90 titoli e 101 fotograf*, trovate la collezione qui. Ho usato come metodo di raccolta delle informazioni una via di mezzo tra il ripescaggio dalla memoria e la ricerca a casaccio. Continuerò ad aggiornare la lista in futuro, ci sono un sacco di scene nel retro della mia testa che non sono ancora riuscita a ricollegare.
Ho campionato tutti i dati che ho raccolto in un elenco incompleto e per niente serio di profili di personalità fotografiche. Così potete trarre ispirazione se volete travestirvi da Fotografo® per Halloween, o anche starvene sul divano sotto la copertina a guardare un film.
Iniziamo con un po’ di dati grezzi
Ci sono film che non ho ancora guardato del tutto (solo trailer o spezzoni) e la raccolta è ancora in corso, per cui diciamo che i dati sono un po’ sporchi, ma per il nostro discorso vanno più che bene!
Al 27 ottobre 2022 abbiamo
Personaggi totali raccolti: 101 (in qualche caso ho raggruppato, per descrivere un gruppo di fotograf* non meglio identificati che appaiono tutti insieme sulla scena, come per i photographers in the shop in Kodachrome).
Film e serie tv: 87.
Genere ed etnia: per il momento nella lista provvisoria solo il 30% circa è donna. Altre identità di genere oltre maschile-femminile non sono pervenute o non è possibile riconoscerle dalle rappresentazioni fornite. In generale l’orientamento è eterosessuale (lasciato intendere dalla presenza di mogli/mariti/compagn* dell’altro sesso o rapporti occasionali o altrimenti non esplicitato) se non per le fotografe Syd e Lucy in High Art (il film gira intorno al loro rapporto più che sulla fotografia), Tina Modotti in Frida e Christopher Topher Brooks in Tiny Pretty Things.
Per quanto riguarda l’etnia le cose sono ancora più nette: 95 fotograf* su 101 sono bianchi (europei, anglosassoni e nordamericani).
In The Year of Living Dangerously il fotoreporter indonesiano Billy Kwan fu interpretato da Linda Hunt.
Anni: il film più vecchio che ho trovato è La macchina ammazzacattivi del 1952 (che non sono riuscita ancora a vedere per intero!), il più recente The in Between del 2022.
Stato e settore fotografico: nelle rappresentazioni in elenco su 101 fotografi 75 sono professionisti e 26 studenti o dilettanti. Tra i professionisti ho contato anche quelli che si fingono fotograf*, anche in una sola scena, come Leonardo di Caprio in Blood Diamond, che si finge fotografo del National Geographic per contrabbandare diamanti attraverso il confine della Liberia.
Ma c’è una cosa più interessante da guardare oltre allo stato di professionista o amatore, ovvero il genere di fotografia considerato. Qui non è sempre facile fare una distinzione netta, professioni e generi si mischiano e sovrappongono e, molto spesso, non sono nemmeno così ben specificati. Ma facendo due conti della serva questo è quello che otteniamo.
Se fai il fotograf* in un film o in una serie, molto probabilmente sarai un fotoreporter. È un termine ampio con molte declinazioni, ma contando su 101 personaggi ben 41 sono fotoreporter e di questi 20 sono fotograf* di guerra.
In questi media se non siamo fotogiornalisti sotto le bombe allora siamo artisti o fotografi di moda e commerciali (per conto di grandi agenzie e produzioni).
Una nota sulla categoria artisti, è l’unica in cui le fotografe superano per numero i colleghi maschi (18 a 4). A meno che non si considerino artisti anche molti dei fotogiornalisti (cosa a volte lasciata intendere).
Alcune curiosità
Julia Roberts è l’unica attrice che ha interpretato due fotografe in due pellicole diverse: Anna Cameron in Closer (2004) e Isabel Kelly in Stepmom (1998). Nel primo caso una fotografa di moda/pubblicitaria, nel secondo una ritrattista/artista.
Attualità: la creazione di immagini da parte di intelligenze artificiali. Non vorrei sembrare troppo una Trekkie sfegatata (ma anche si) nel sottolineare che anche in questa occasione Star Trek ha dimostrato una certa visione in avanti. Tra i fotografi in elenco non potevo omettere Il Dottore, un ologramma con la passione (tra le tante altre) per l’olofotografia.
E già che ci sono: c’è perfino un episodio del 2001 nel quale si discutono i diritti che Il Dottore, in quanto ologramma ed intelligenza artificiale, ha su un’opera di sua creazione.
Qualche profilo semiserio
Utile se volete mascherarvi o mascherare qualcuno da fotografo per Halloween. Forse per chi vede il mondo della fotografia da fuori possono sembrare personaggi verosimili. In alcuni casi si tratta anche di ruoli ispirati a persone realmente esistite, ma ho sempre la sensazione che i racconti siano un po’ troppo romanzati.
Il problema nasce quando questi profili vengono tirati fuori dalla narrativa così come sono, cercando di infilarci dentro individui reali (e si potrebbe allargare anche il discorso ai social). Per cui i fotografi sono perlopiù uomini, o perlopiù artisti o perlopiù dei tipi un po’ loschi. Per cui chi fotograf* lo fa per passione, è multitasking, sempre disponibile, dinamico e attraente.
D’altronde, la vita non è un film e nemmeno un feed. Pensando alla svagonata di fotografie che devo postprodurre, alle email alle quali rispondere e a tutte le scartoffie da sistemare beh…penso che non sarei un personaggio così interessante da guardare per un paio d’ore ;)
Ma passiamo ai profili dei Fotografi Veri®, quelli sì che hanno vite avvincenti!
Il fotoreporter di guerra: se volete andare sul sicuro scegliete la maschera del fotogiornalista. IL, mi raccomando, maschile, perché al femminile non garantisco. Il fotogiornalista ha viaggiato ovunque, fatto esperienza di ogni parte del mondo e non perde occasione per ricordarlo. Ha vissuto sulla propria pelle in prima linea guerre, carestie, pandemie, rivoluzioni, sbarchi alieni e la venuta dell’anticristo. Ha una storia e un nome. È un mostro sacro. Spesso è burbero e ha sacrificato la propria vita personale per il proprio lavoro (anche se in realtà sembra che sia la famiglia a soffrirne, non lui), puntando tutto sulla redenzione in punto di morte.
Se siete donna potete vestire i panni di Rebecca (Juliette Binoche) in Mille volte Buona notte e ritrovarvi in mezzo a conflitti reali e personali, pensando a come rispondere a ultimatum coniugali mentre cercate di portare a casa lavoro e pelle.
Ma magari siete Vicki Vale (Kim Basinger) in Batman e, non si sa bene come, riuscite a tornare a casa con reportage di guerra fresche come delle rose e con una pelle da spa.
Invece, se siete uomo come Harrison Lloyd (David Strathairn) in Harrison’s Flowers, e risultate dispersi durante il conflitto in ex-Yugoslavia…nessun problema! Vostra moglie Sarah Lloyd (Andie MacDowell) mollerà casa e famiglia per venirvi a cercare anche se siete dato morto al 99,9%.
Il fotogiornalista tranquillo: se gli scenari di guerra sono troppo per voi, potete lo stesso vivere avventure e passioni senza sacrificare un briciolo di fama. Basta vestire i panni di un fotogiornalista naturalistico, o provare lo stesso quel brivido di avventura mischiando la carriera di fotografo con quella di detective privato come Mike Kovac (Charles Bronson) in Man With a Camera.
Attenzione però! Il fotogiornalista vero ha in genere tra i 30 e i 50 anni. Se siete tra i 18 e 30 probabilmente vi troverete nella fase di gavetta del primo Spider-man di Tobey McGuire o di Jonathan Byers in Stranger Things. Se siete ancora studenti, timidi o estroversi non importa, la strada verso il successo è ancora lunga, anche se siete dei maghi.
Il fotografo di moda-pubblicitario: qui è chiaro che siete un pezzo grosso. Che stiate fotografando abiti di alta moda o capre in una scenografia post apocalittica è sempre questione di vita o di morte. Al lavoro su ogni set ci sono dalle 20 alle 40 persone ma ogni cosa dipende sempre e solo unicamente da voi. Probabilmente siete esauriti fisicamente e mentalmente come Finn in Palermo shooting. Ma potete anche decidere di fare quel cavolo che vi pare, buttando all’aria il lavoro di un intero staffi, perché voi avete una visione, siete un genio e vedete quello che nessun altro può vedere.
Paranormale, crime e killer: non volete limitarvi ad un solo genere? Ricordatevi che il mondo della fotografia è eterogeneo e c’è spazio per tutti! Non c’è un solo modo di fare il fotografo, giusto? Nel cinema la fotografia va spesso a braccetto con criminali, killer e tizi inquietanti come Harlen Maguire (Jude Law) in Road to Perdition, o Paul Exben (Romain Duris) in Scatti rubati.
E fate anche attenzione a cosa fotografate perché potreste entrare in contatto con qualcosa che non è proprio del tutto di questo mondo come Wendy Christensen (Mary Elizabeth Winstead) in Final Destination 3 o Tun (Ananda Everingham) in Shutter.
Devo aggiungere anche che purtroppo la fotografia, a volte, diventa uno strumento che permette di approcciare persone che altrimenti non si sarebbero avvicinate, che crea agganci e relazioni di potere e vulnerabilità, fornendo l’occasione per qualcosa di terribile e molto poco romanzabile.
Outliers: in ogni collezione ci sono dei dati che non si sa bene come categorizzare. Mi sono segnata cinque film nei quali la fotografia ha un ruolo un po’ inusuale e/o la rappresentazione di chi fotografa esce un po’ dagli schemi. Prossimamente sui miei schermi ;)
Justin T. Sokol, Identity Development Throughout the Lifetime: An Examination of Eriksonian Theory. ↩
Psicologia sociale: percepire, comprendere e giudicare se stessi. ↩
Per approfondire il concetto dell’auto-monitoraggio di Snyder, qui. ↩