#1.11 Il pozzo

È arrivato il tempo di riempirlo.

#1.11 Il pozzo

Quasi due anni fa sono tornata all’università. Rimettermi sui libri dopo i trent’anni è stato più naturale del previsto. Me lo chiedono in tanti, dico, com’è, ritornare a studiare. Ma io sono una di quelle persone che “non si finisce mai di imparare”. Non ho mai davvero smesso, perciò non so bene come rispondere per risultare credibile. Per me è più facile che andare a fare la spesa al supermercato, ecco. Mi piace imparare.

«Having a shelf full of books that you haven’t read is better than a shelf full of books that you have read - and this part is important to me - I want my life to be about potential and inquiry rather than conquests». Ian Lynam, The Impossibility of Silence: Writing for Designers, Artists & Photographers. Onomatopee, edizione 2020.

Studio psicologia1 per cui c’è sempre qualcuno che si aspetta che sia pronta a diagnosticare un qualche disturbo o a definire il profilo di chiunque mi ritrovi di fronte. Che ha senso, di solito chi si iscrive a questa facoltà lo fa per fare proprio quello di mestiere. O, almeno, è quello che si pensa che si faccia. In realtà la faccenda è un po’ diversa.

Ad ogni modo, io mi sono iscritta partendo dalla fotografia, e quello rimane il mio ambito. È una pratica che ogni giorno mi mette di fronte a dubbi, situazioni e scelte che nel corso degli anni si sono stratificati e aggrovigliati. E ad un certo punto ho cominciato a non capirci più nulla, tirando un filo ne uscivano altri cento scombinando tutta la tela. Non sostengo che per fare fotografie, in generale, serva mettersi a studiare psicologia. Dico solo che, per me, si sta rivelando utile, forse anche per una mia inclinazione a percepire il mondo, e la fotografia, come un sistema complesso di stimoli e relazioni. La psicologia, per me, è una contaminazione come un’altra.

«Quello che Carlo Emilio Gadda aveva in mente, mettendosi a scrivere nel 1946 Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, era un romanzo poliziesco ma anche un romanzo filosofico. L’intreccio poliziesco era ispirato da un delitto avvenuto recentemente a Roma. Il romanzo filosofico era basato su una concezione enunciata fin dalle prime pagine: non si può spiegare nulla se ci si limita a cercare una causa per ogni effetto, perché ogni effetto è determinato da una molteplicità di cause, ognuna delle quali a sua volta ha tante altre cause dietro di sé; ogni fatto (per esempio un delitto) è come un vortice in cui convergono correnti diverse, mosse ognuna da spinte eterogenee, nessuna delle quali può essere trascurata nella ricerca della verità. Una visione del mondo come «sistema di sistemi» era esposta in un quaderno filosofico ritrovato tra le carte di Gadda dopo la sua morte (Meditazione milanese). [...] Ogni elemento d’un sistema è sistema a sua volta; ogni sistema singolo si collega a una genealogia di sistemi; ogni cambiamento d’un elemento implica la deformazione dell’intero sistema». Italo Calvino, Perché leggere i classici. Milano, Mondadori, 1995.

Ad un certo punto un po’ di anni fa ho lavorato ad un progetto personale, funzionava. Credo sia stato un passaggio importante, anche se poi quella serie non l’ho mai pubblicata per davvero2. L’ho presentato ad altri, che non mi conoscevano e per i quali io non ero nulla di più di quello che presentavo in quei cinque minuti. Solo allora mi sono accorta che mi mancavano le parole per raccontare tutto quanto. Anzi, peggio, c’erano proprio dei buchi neri dentro di me che si mangiavano tutto quello che volevo dire.

«È attraversare il paese della lingua fino alla soglia dove esso confina con il vuoto. Fino a quella linea dove l’invisibile manda i suoi lampi, l’enigma le sue rifrazioni. In questo cammino la prossimità alla cose è ascolto della loro sospesa e incantata resistenza al nulla. Una percezione si dispiega: l’appartenenza del vivente, di ogni forma vivente, all’orizzonte della finitudine». Yves Bonnefoy, Poesia e fotografia. O Barra O Edizioni, 2015.

In questi mesi ho scritto più volte di schemi, di processi automatici, di istinto e del fatto che non sia necessario che tutto passi sempre dalle parole. Che il pensiero razionale è solo una parte, e c’è molto altro di noi che finisce in fotografia.

«Per idee estetiche […] intendo quelle rappresentazioni dell'immaginazione che danno occasione a pensare molto, senza che però un qualunque pensiero determinato, cioè un concetto, possa essere loro adeguato e, per conseguenza, nessuna lingua possa perfettamente esprimerle e farle comprensibili […]. Le “idee estetiche”, in altri termini […] mostrano un’inesauribile eccedenza della forma sensibile rispetto al lavoro dell’unificazione concettuale […]». Pietro Montani, L’estetica contemporanea. Carocci, 2004.

Non sto tornando indietro sui miei ragionamenti quando dico che il non trovare le parole mi spaventava, è solo che a volte, in occasioni specifiche, non si può fare semplicemente spallucce dicendo “così è come mi sento”.

Quando si parla solo a sé stessi si può fare un po’ quello che si vuole. Ma quando si vuole parlare ad altri di qualcosa di fondamentale per noi, ed è tanto importante che recepiscano almeno qualcosa, si fa di tutto per riuscirci, anche provando canali e linguaggi diversi.

Mi mancavano dei pezzi, così un giorno sono entrata in una grande libreria di Milano e ho speso un bel po’ di soldi nel reparto psicologia. Non fatelo. I settori psicologia delle librerie sono dei gironi infernali. Si trovano anche testi importanti, ma sommersi da manuali che “vendono”. A questo si aggiunge che, rispetto ad altre, la psicologia è una disciplina molto recente e su alcuni argomenti la risposta più comune è “così ma con un certo grado di probabilità”. Non è tanto facile nemmeno restringere il campo di ricerca, tutto può essere visto da più punti di vista differenti che sono tutti validi insieme, nessuno esclude l’altro.

Per farla breve: ho passato circa due anni a leggere manuali e raccogliere informazioni ma portandomi sempre dietro la sensazione di non riuscire mai a collegare i puntini. Poi è arrivata la pandemia, e studiare da remoto non sembrava più tanto impossibile, per cui ho deciso di affrontare l’argomento proprio dal principio, che è sempre un buon punto da dove partire.

Ed è così che sono finita a studiare psicologia. Man mano che studiavo mi annotavo cose e pensavo a quanto si collegassero bene con la fotografia. Ed è da quelle note che è nato Making Pictures che, di fatto, è un insieme di appunti e citazioni. Un discorso che a volte tira alcuni fili e altre volte altri, rimanendo anche aperto, vivente.

«L’universo si disfa in una nube di calore, precipita senza scampo in un vortice d’entropia, ma all’interno di questo processo irreversibile possono darsi zone d’ordine, porzioni d’esistente che tendono verso una forma, punti privilegiati da cui sembra scorgere un disegno, una prospettiva. L’opera letteraria è una di queste minime porzioni in cui l’esistente si cristallizza in una forma, acquista un senso, non fisso, non definitivo, non irrigidito in una immobilità minerale, ma vivente come un’organismo». Italo Calvino, Lezioni americane. Oscar Mondadori, 2017.

Questo è l’undicesimo articolo, l’ultimo di questa prima sezione. Dopo il riassunto del 31 maggio ci sarà una pausa estiva fino a settembre, quando riprenderò il discorso con gli stereotipi. Nei prossimi tre mesi, da giugno fino a fine agosto, scriverò articoli leggeri e senza un tema preciso, sono un po’ le letture delle vacanze.

È una pausa necessaria, che mi serve per riempire il pozzo. Letteralmente, non dico solo per riposare. Ho esaurito tutte le note che avevo preso e ho bisogno di tempo per leggere, ricopiare citazioni e appunti, riordinare le idee. E per fotografare. Nulla di quello che faccio viene da istanti di folgorazione, non mi fido delle muse.

«As for muses, muses come and muses go. Muses use you up and suck you dry. Muses desert you. For some, the muse never actually appears.

A healthy relationship has to be made collaboratively - each of you gives and it coalesces into outcome after outcome, but the times of stasis should also be healthy». Ian Lynam, The Impossibility of Silence: Writing for Designers, Artists & Photographers. Onomatopee, edizione 2020.

È la prima volta che porto avanti un discorso, una pubblicazione, una newsletter o come la vogliamo chiamare, per così tanto tempo sentendo di avere ancora molte cose da condividere. E dopo così tanti mesi Making Pictures continua a ricevere nuove iscrizioni, nonostante io ne faccia una pubblicità pari a zero. Ne sono molto felice, ma penso anche che ci siano aspetti che si possono migliorare. Oppure temi che non mi vengono in mente e sareste interessati a leggere. A volte è difficile capire queste cose da soli, per cui mi piacerebbe sentire la tua opinione.

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Tornando a psicologia. No, una volta finiti gli studi non mi metterò a diagnosticare o profilare la gente. O a “leggere” quello che le persone sono o non sanno di sé stesse dalle loro fotografie.

Ma sto imparando molte nozioni utili, una tra le tante, che psicologizzare le persone non è una cosa carina da fare. Siamo portati a cercare cause e ci diamo spiegazioni sulla base di quello che vediamo e quello che vediamo lo trasportiamo in fotografia dimenticandoci che quella “verità” è poi solo una scommessa che sta insieme con un certo grado di probabilità, in un dato punto dello spazio-tempo.

Quello che una persona ha dentro nessuno lo può sapere, a volte nemmeno la persona stessa. E va bene così.

«Have patience with everything that remains unsolved in your heart. Try to love the questions themselves, like locked rooms and like books written in a foreign language. Do not now look for the answers. They cannot now be given to you because you could not live them. It is a question of experiencing everything. At present you need to live the question. Perhaps you will gradually, without even noticing it, find yourself experiencing the answer, some distant day». Rainer Maria Rilke, Letters to a Young Poet. Dover Publications, 2002.

  1. Discipline psicosociali, per l’esattezza. Ho un po’ perso il filo tra ordinamenti nuovi, vecchi e di mezza età ma per farla breve è la base comune di diversi percorsi di studio in psicologia.

  2. E credo che non lo farò ancora per un po’, almeno non nella forma in cui è. Ci vedo alcuni grossi problemi di approccio che è un po’ complicato spiegare in due righe.