#P.2 Crisi d'identità

Dedicato a chi odia le presentazioni.

#P.2 Crisi d'identità

Questo articolo è dedicato a tutti coloro che odiano presentarsi, in qualsiasi modalità possibile. In forma scritta o verbale, di persona o da remoto, in maniera privata o pubblica, in tempo reale o in differita. Non importa come, la presentazione può diventare una forma di supplizio pratica e versatile. Prendete il vostro peggior nemico e chiedetegli “chi sei?”. Se risponde subito, deciso, ribattete: “ma no, non questo! Intendevo: chi sei davvero?”. Insistete. Crollerà.

Non conosco la formula magica per la presentazione perfetta ma, ultimamente, mi sono accorta che faccio sempre meno fatica a scriverne una o a snocciolarla a voce. Forse sono un po’ più allenata rispetto al passato e mi è più facile mettere a fuoco quegli ostacoli che, all’inizio, sembrano insuperabili.

Nel mondo esiste moltissimo materiale valido sulla comunicazione, sulla scrittura e sullo stile. Vi lascio fare le vostre ricerche e qui mi limiterò a parlare di quello che per me è importante e che, penso, mi abbia aiutato.

Non utilizzo un metodo preciso, però possiamo scorrere insieme un po’ di questi temibili tranelli e ridimensionarli. Presi uno per volta alla luce del sole anche gli incubi peggiori fanno meno paura.

Fonte: Harry Potter Wiki.

Due parole sull’identità

Di solito viviamo le nostre vite puntando l’attenzione verso l’esterno e rispondendo agli stimoli così come vengono, senza farci domande su ogni minima cosa. Esistiamo e basta.

C’è chi sostiene che ragionare troppo su chi siamo e da dove veniamo sia inutile. Nei casi più estremi è vero, sarebbe uno sforzo immane e sarebbe anche controproducente, bloccando ogni azione. Dall’altro lato avere un’idea di chi siamo, da dove veniamo e riuscire a trasmetterla agli altri è quello che ci permette di navigare abbastanza bene le nostre vite anche quando i mari si fanno burrascosi.

In psicologia l’identità è una delle caratteristiche che ci permette di percepirci stabili.

«La percezione di avere un’identità personale e la consapevolezza che gli altri la riconoscano è condizione necessaria della sanità psichica». Identità in Enciclopedia Treccani.

Qualche tempo fa mi hanno spiegato l’identità come un tunnel che corre nello spazio tra passato e futuro che delimita le zone dell’io-possibile dall’io-impossibile. I bordi di questo tunnel sono sfumati, potremmo chiamarle zone del probabile-improbabile. In più noi non ci muoviamo sempre e solo al centro di questo “tubo”, ma fluttuiamo un po’ da una parte all’altra. Come la luce, che è sia particella che onda.

Ora, è chiaro che dare una definizione netta e stabile, magari anche concisa, di una cosa che fluttua in continuazione, un po’ è qui e un po’ è lì, non è proprio un compito facile. Aggiungiamo anche poi il fatto che l’identità di una persona comprende tanti fattori, biologici, psicologici e sociali che variano nel tempo.

I’m a product of my nucleic acids. Where and how I was raised are beside the point, so if you are trying to understand me better, questions about my home planet are irrelevant”. - Star Trek Voyager 6x20 The Good Shepherd. Quanto ti sbagli, giovane.

In moltissime culture la ricerca dell’identità è uno dei temi centrali della vita, comprende sia l’accettazione del sé che della civiltà in cui si vive. “Chi sono?” è una domanda che attraversa discipline diversissime, dalla biologia, alla filosofia, alla letteratura e religione, senza dare una risposta definitiva. Uno, nessuno e centomila. Il rischio di perdersi è altissimo.

Duane Michals, Une visite chez Magritte. Fonte: lensculture.com.

L’argomento è vasto e complicato. Ho scritto tutta questa introduzione non per spaventare ma per ricordare che parlare (o scrivere) di sé stessi è estremamente difficile. Per cui tutte le mani sudate, le voci tremolanti, le pagine bianche e le bozze cestinate fanno parte del processo, è normale. Non conosco fotografo che non vada un po’ in crisi di fronte alla richiesta di una bio o di uno statement.

È una questione esistenziale, ma il trucco sta proprio nel non prenderla troppo sul serio. Bisogna giocarsi un po’ su.

Claude Cahun e Marcel Moore, Untitled (Claude Cahun in Le Mystère d'Adam), 1929. Fonte: SFMoMa.org.

Esche e tracce

Che cosa sono presentazioni e bio se non tracce di noi che lasciamo nel mondo? Sono entità fisiche sotto forma di testo e parole collegate alla nostra identità con fili più o meno forti che a volte si spezzano. Emanazioni che sfuggono al nostro controllo nel momento in cui finiscono nelle interpretazioni degli altri.

Si seguono le tracce per trovare qualcosa o qualcuno. Scrivere una bio è un po’ come lasciare una traccia o, meglio, un’esca per avvicinare qualcuno che non ci conosce. Per fare in modo che possa vedere più da vicino quella parte di noi che in quel momento e in una data occasione ci interessa mostrare. Per dare l’informazione necessaria e sufficiente che serve a far funzionare una relazione e a sollecitare un’azione in un certo momento.

Se vado all’asilo a recuperare mio figlio, alla maestra nuova che non mi conosce dirò “sono la mamma di Luca”, anche se in realtà sono mille altre cose. Ad una cena informale con amici di amici potrò dire che ho viaggiato in tutti i continenti. Ma se mi soffermo troppo sul fatto di avere due lauree e quattro master potrei sembrare pomposo, mentre ad un colloquio di lavoro potrebbe essere la carta vincente. Ma non è detto. Potrei essere troppo qualificata.

Si, penserete voi, questi sono casi facili. Ma se devo scrivere una bio per una mostra o per il mio sito, come faccio ad essere convincente, creativo e accattivante quando in realtà mi guadagno da vivere risuolando scarpe e mi sembra di essere finito a far fotografie per caso?

Facile: lasciate stare tutto quanto e scrivete quello che fate.

A chi legge la vostra bio in una mostra o sul vostro sito poco importa che vi guadagniate da vivere coltivando rape o siate mantenuti da Babbo Natale, a meno che questa informazione non sia inerente e utile al vostro lavoro. Che dica qualcosa in più, ma non oltre il necessario.

L’io autentico

Vi riporto una citazione che qualche anno fa mi aveva colpito tantissimo.

«Il vero io, si sa, è una cosa rara. E che il vero io si esprima è ancora più raro. Dove esiste, di regola il vero io di una persona si rivela soltanto nella qualità della presenza di quella persona, oppure nelle sue azioni. Quasi tutti noi non siamo mai altro che un fascio di personalità contraddittorie e complementari. Il vero io, se la nostra convinzione di possederne uno è fondata, generalmente è muto, sepolto sotto il brusio delle voci conflittuali di personalità false, insignificanti. Come se il mutismo fosse la caratteristica universale di ogni vero io. Quando il vero io trova la parola e riesce a esprimersi, allora accade qualcosa di straordinario». Ted Hughes, introduzione ai Diari di Sylvia Plath.

Forse ho un po’ di problemi con la complicata questione di Ted Hughes e Sylvia Plath, nel senso che conosco la storia ma non così bene da sentirmi confidente da riportarla. Fate le vostre ricerche e tirate le conclusioni. Ho di sicuro problemi con questo passaggio dei Diari (pubblicati postumi), nel senso che mi fa strano pensare ad un unico io autentico sepolto sotto tutte le altre personalità “false e insignificanti”. Ma sono davvero così negative? E per forza l’io vero è uno solo, autentico, e difficilissimo da esprimere?

Ted Hughes aggiunge anche, in un’altra occasione:

«Esplorare la propria vita interiore senza riconoscere la nostra origine ed eredità animale è un esercizio vuoto, astratto. Bisogna osare il salto, mollare gli ormeggi per raggiungere un io autentico. L’originalità di uno scrittore si riconosce dal coraggio con cui ha osato lanciarsi nell’abisso, e da quanto questo è profondo». Ted Hughes, Lettere di compleanno.

È una narrativa tragica e anche pericolosa. Affascinante e poetica ma non per questo sana.

Patricia (James McAvoy) in Split di M. Night Shyamalan, 2016.

È vero che esistono teorie che riconoscono un io unico e intimo, privato, ma è anche vero che, di norma, tutte le diverse personalità lavorano insieme per proteggerlo, aiutarlo e realizzarlo. Tendiamo a pensarci stabili e granitici ma in realtà siamo più fluidi e variegati di quello che possiamo immaginare.

Prima o terza persona?

Questa è uno dei miei dilemmi preferiti. Me lo sono portato dietro per un sacco di tempo e ho sentito tutto e il contrario di tutto. E ogni voce, sia quelle che difendevano la prima persona sia quelle che optavano per la terza avevano le proprie valide ragioni. Ho fatto una media e, usando il buon senso, mi adatto alle varie situazioni.

Stiamo parlando di presentazioni scritte perché non so davvero quali siano (se ci sono) occasioni adatte per presentarsi a voce in terza persona.

All’inizio scrivere di sé in terza persona suona distaccato e formale, un po’ snob. Però in realtà per me ha molto senso, soprattuto in una collettiva o nelle situazioni in cui immagino sia un curatore o qualche altra figura a fare da presentatore.

La prima persona forse è più facile da scrivere quando non vengono le parole. Qualche volte io butto giù una bozza veloce in prima persona e poi riscrivo tutto in terza, togliendo le informazioni superflue. Da leggere, a volte, mi suona un po’ fastidiosa. È più informale, cerca un approccio personale e proprio per questo sembra la voce di qualcuno che si sta sforzando di fare un po’ l’amicone. Non sempre però, dipende dalla situazione. In molte pagine about di un sito web la prima persona è la scelta migliore.

Come dicevo all’inizio, il buon senso. E rileggere molto ad alta voce.

La motivazione

Mi piace leggere le nozioni biografiche. Ma mi piace ancora di più leggere le motivazioni che hanno spinto qualcuno a fare qualcosa. Quali fattori hanno influenzato cosa. Perché una persona è arrivata a concepire una certa idea e come l’ha portata avanti trasformandola in un progetto o in un oggetto concreto. Spesso ho la sensazione che nelle bio si dia più importanza ai tratti e alle caratteristiche della persona piuttosto che a sottolineare la motivazione dietro al lavoro. Che è vero che sono in qualche modo collegati, ma solo uno è il motore di tutto.

Personale

Aggancio questo al discorso della motivazione perché spesso scrivere cosa ci spinge a seguire un certo percorso non è sufficiente. Questa motivazione deve essere personale.

Questa cosa mi ha sempre mandato via di testa perché con personale ho sempre inteso qualcosa di intimo e profondo e io non credo di avere nulla di tale portata che valga la pena raccontare. O, almeno, non sempre ho voglia di farlo.

Nelle teorie dell’influenza sociale l’aggiunta di una motivazione personale è uno dei fattori che rende la fonte più solida e credibile. È tutto quello che spiega perché un certo tema ci sta a cuore e fa capire, anche senza passare per turbe e traumi, con quanta cura e quanto a lungo siamo disposti ad occuparcene.

Brooke DiDonato, Elsewhere. Fonte: brookedidonato.com.

Tanto o poco

Qualche anno fa i motori di ricerca davano molto peso all’organico per cui il consiglio migliore era di scrive testi, titoli e descrizioni, di una data lunghezza, meglio se farciti con qualche parola chiave strategica. Questo perché il motore di ricerca, scansionando periodicamente i vari siti web, andava a leggere i contenuti catalogando le pagine di conseguenza, posizionandole in base alla pertinenza con una certa ricerca piuttosto che un’altra. Questo sistema esiste ancora, ma si è spostato sempre di più verso le inserzioni a pagamento. Per cui ora il discorso è più del tipo: maggiore l’investimento, maggiore la visibilità.

Non importa se lunga o corta, la cosa fondamentale da ricordare è che le presentazioni sono fatte per essere lette o ascoltate da persone vere in contesti reali.

Punto e virgola

«E adesso è arrivato il momento della lezione di scrittura creativa. Regola numero uno: non usate il punto e virgola. […] Dimostra soltanto che avete fatto l’università.

Mi rendo conto che alcuni di voi potrebbero avere difficoltà a capire se sto scherzando o meno».
Kurt Vonnegut, In che modo la musica cura i nostri mali (e ce ne sono in abbondanza) in Quando siete felici, fateci caso. Edizione Kindle.

In realtà il punto e virgola lo usavo spesso in passato. Ora di meno. Forse perché scrivo in maniera più telegrafica e ho perso la passione per i lunghi periodi composti.

Sto sviluppando un’antipatia per i paroloni perché spesso vengono usati a sproposito. Quelli che chiamiamo paroloni hanno un significato preciso ed esistono per essere usati in contesti molto specifici. Sono costosi e faticosi da leggere, hanno una grande dignità e vanno tirati fuori quando ha davvero senso usarli.

I Write Artist Statements

I Write Artist Statements è un piccolo libro molto carino scritto da Liz Sales che ho trovato a pochi euro in edizione Kindle. Non spiega come scrivere statement o bio ma, in un certo senso, lo mostra, attraverso una raccolta di testi inventati. Non è un manuale, ma è dieci volte almeno più ironico e divertente.

«Vlad the Impaler (b. 1431, Sighişoara, Transylvania) is an artist who mainly works with photography. By employing flat formal solutions, his photography has a distinct lack of visual drama in a way that echoes his undead soul. In turn, the image approaches an objective gaze where the subject, rather than the photographer’s perspective on it, is paramount. The Impaler’s images are flattened out, formally and dramatically, in the manner of the typologies and straight photography espoused by his teachers, Bernd and Hilla Becher. The Impaler’s best-known project is Mina, a series of 60 frontal, identically framed photographs of Wilhelmina Harker, the reincarnation of the artist’s centuries-dead wife, Elisabeta, staring deadpan into the camera. As a lifeless monster, he does not believe in psychological portrait photography the way his colleagues do. He is not trying to capture the character of his subject. He believes he can only show the surface; everything beyond that is up to the viewer. Due to his interest in reincarnation, authenticity and appropriation are of recurring interest to the Impaler. He further explored these ideas in Bran Castle, a photographic collection of portraits of the artist’s childhood home and other Transylvanian castles, all taken from the same angle with the light evenly distributed, and printed in identical size. The intense and obsessive nature of the Impaler’s project mirrors the soulless order of industrial production, a phenomenon that greatly altered the 500-year-old vampire’s world and worldview. Vlad the Impaler currently lives and works in Tampa, Florida». Liz Sales, I Write Artist Statements. Edizione Kindle.